La latitanza del nero Franco Freda è stata favorita dall’ex parlamentare del Pdsi Paolo Romeo. È lui stesso ad ammetterlo, dopo 42 anni, nel corso del processo “Gotha” dove è imputato con l’accusa di essere un “invisibile”, una delle due teste pensanti della ‘ndrangheta reggina capace di condizionare gli enti locali e stabilire chi, a Reggio Calabria, deve amministrare la cosa pubblica.
Romeo ha fatto oltre 9 ore di dichiarazioni spontanee, durante le quali ha ricostruito quelle che lui definisce le sue “vite”: la militanza nel Movimento sociale italiano, gli anni nelle file del Psdi, quelli da consigliere comunale. E poi ovviamente le vicende giudiziarie che lo hanno visto protagonista: il processo “Gotha” e, prima ancora, il processo “Olimpia”, alla fine del quale è stato condannato per concorso esterno con la ‘ndrangheta. Già durante quel procedimento era emerso il suo interessamento e quello della cosca De Stefano nella vicenda Freda.
“Dirò qual è la verità storica”. Sono le parole di Romeo, che in aula bunker ha spiegato il suo personale coinvolgimento e quello di altri nella fuga del terrorista che, all’epoca, era sotto processo a Catanzaro, per la strage di piazza Fontana. Per la bomba alla stazione Freda verrà condannato in primo grado e quindi assolto in appello a Bari e poi in Cassazione. Mel 2005 una nuova sentenza della Suprema corte lo indicherà tra i responsabili della strage (organizzata da “un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine Nuovo”), sottolineando però che non può essere processato per il ne bis in idem: è stato già assolto per lo stesso reato. Freda, da parte sua, ha sempre negato ogni accusa.
È questo il personaggio che Romeo spiega di aver nascosto. L’avvocato indica uno dei suoi complici nell’ex senatore Renato Meduri di An che, a suo dire, qualche anno fa ha rilasciato pure un’intervista, mai pubblicata, in cui racconta questa storia. Stando alla ricostruzione di Romeo, quindi, lui e Meduri erano stati contattati dall’amministratore di una tipografia di Villa San Giovanni con cui Freda, essendo editore, aveva rapporti. “Era una mia vecchia conoscenza dai tempi dell’università”. Lo descrive così Romeo il tipografo a cui il nero si sarebbe rivolto per trovare un luogo dove nascondersi in riva allo Stretto.
“L’amministratore della tipografia – dice – aveva interpellato me e il senatore Meduri per chiederci se eravamo disponibili a dare ospitalità a un camerata che era in difficoltà. Siamo nel 1979, sul finire degli anni di piombo. Il clima era un clima di solidarietà. È chiaro che in quel momento quando io e il senatore Meduri abbiamo dato il nostro ‘si’ a una richiesta del genere ci rendevano conto di compiere un’illegalità”. “Per comprendere la nostra posizione – sottolinea ancora l’imputato di Gotha – bisogna immaginare cosa eravamo noi negli anni ‘70. Da parte nostra, l’idea che Freda potesse sottrarsi a un giudizio di un sistema politico che lo perseguitava, veniva vissuto come un gesto politico, un atto politico non come un atto illegale. Quindi lo stato d’animo con il quale ci siamo approcciati fu solo questo”.
“Io e Renato Meduri andammo a Gioia Tauro al distributore di benzina. – aggiunge Romeo – Questo signore dai capelli bianchi (Freda, ndr) scende da una macchina, viene lasciato da quattro giovani che ritornano a Roma e lo portiamo a Reggio Calabria. Io mi faccio carico di dare ospitalità a questa persona. Lo faccio in modo goliardico, non avevo idea di mantenere un latitante esplosivo. Si era fatto crescere i baffi e passeggiavamo pure sul corso Garibaldi. Addirittura un giorno gli presentai uno della Digos”.
Per spiegare l’atteggiamento “goliardico” del suo aiuto a Franco Freda, l’avvocato Romeo racconta un episodio in cui di fatto prese in giro Ciccio Franco, il politico reggino ed ex senatore, diventato simbolo della “rivolta di Reggio”: “Il senatore Franco in molte discussioni vantava un rapporto di conoscenza con Freda. Un giorno gli dicemmo che c’era un giornalista veneto che lo voleva intervistare. Glielo portammo a casa, gli fece l’intervista e il senatore Ciccio Franco anche in quell’occasione vantava di conoscere Freda ma non era così”. In realtà, infatti, stando a quanto emerso oggi, il senatore Franco si trovò di fronte al leader del Fronte nazionale, senza riconoscerlo.
La permanenza del latitante in riva allo Stretto sarebbe dovuta durare 15 giorni. Le cose andarono diversamente: dopo 4-5 mesi, infatti, Franco Freda era ancora a Reggio, ospite sempre di Paolo Romeo. “Io – dice – due cose potevo fare: o buttarlo fuori o trovare una soluzione. Organizzammo il suo espatrio in Costa Rica. Chiesi questa cortesia a un mio cliente”. Era Paolo Martino, il boss dei De Stefano ritenuto il referente della cosca di Archi a Milano. Un pezzo da novanta della ‘ndrangheta reggina insomma. “A chi mi potevo rivolgere? – ricorda Romeo in aula – Martino acconsentì, prese Freda per curarne l’accompagnamento. Non lo fece subito ma chiese a Filippo Barreca di tenerlo dieci giorni. Barreca dopo 10-15 giorni scappa e non lo vuole più tenere a casa sua. Si rivolge a Melino Vadalà (deceduto, ndr) che si fa carico di tenerlo a casa sua e accompagnarlo al confine con la Francia. Posso affermare che Martino non ha mantenuto l’impegno che aveva preso”.
La latitanza di Freda si concluse nei mesi successivi in Costa Rica. Secondo Romeo è stato il boss Filippo Barreca, poi diventato collaboratore di giustizia, a “venderlo” alla polizia: “Barreca riferisce al dottore Canale Parola della questura che era nelle condizioni di far catturare Freda. E fu in quell’occasione che Barreca gli disse che se volevano catturare Freda dovevano seguire me. Da quel momento venne messo sotto controllo il telefono mio e quello della moglie di Freda. Attraverso quelle intercettazioni riuscirono a trovarlo”. “Se le cose stanno così, e il Tribunale può essere certo che sono andate così, – spiega Romeo – dobbiamo fare i conti con tutta la letteratura che c’è stata su questo tema. In tutta questa storia non ci sono né servizi segreti, né un’organizzazione eversiva ma si è trattato di un atto di solidarietà di alcuni militanti del Movimento sociale italiano che hanno agevolato il passaggio di Freda a Reggio e, per quanto mi riguarda, hanno agevolato il suo espatrio in Costa Rica”. Perché raccontarlo adesso? “Mi si potrebbe obiettare – conclude Paolo Romeo – per quale motivo questa verità la racconto oggi per la prima volta e non l’ho fatto nel processo ‘Olimpia’. Non ritenevamo che questa vicenda fosse fondamentale per i fatti che mi contestavano e non volevo coinvolgere persone che avevano un ruolo pubblico”. Il riferimento è Renato Meduri che, nel periodo del processo “Olimpia”, era senatore della Repubblica.