“La cementifera va chiusa. Chi ha prodotto sconquassi al territorio deve pagare”. Lo chiedono gli oltre mille cittadini che hanno firmato una petizione online lanciata da Legambiente Basso Sebino e rivolta al ministero dell’Ambiente e alla Regione Lombardia. L’impianto è quello della ItalSacci a Tavernola Bergamasca. Qui, nell’ultimo mese, gli abitanti hanno vissuto con il fiato sospeso a causa della frana sul monte che sovrasta l’area. “Il fronte è di 2,1 milioni di metri cubi – spiega il sindaco della cittadina sulle rive del lago d’Iseo, Joris Pezzotti – nell’ultima settimana sta rallentando, siamo nell’ordine dei 4 millimetri al giorno, contro i 2,5 centimetri che abbiamo raggiunto all’apice”. A Tavernola però, “le persone continuano a vivere con la valigia pronta – racconta il sindaco – come se avessero una spada di Damocle sulla testa”. Due settimane fa la Regione aveva commissionato uno studio all’Università di Bologna. “Il quadro complessivo emerso dalle simulazioni di maremoto ancora da validare e approfondire – ha spiegato l’Assessore Regionale, Pietro Foroni -, è comunque decisamente più rassicurante rispetto alle notizie uscite nei giorni scorsi sulla stampa; a ciò si aggiunge il fatto che anche la frana sta costantemente decelerando sino ad uscire dalla ‘fase di attenzione’ prevista nelle procedure di gestione del rischio”. In attesa delle conclusioni definitive, l’attenzione si sposta sulle cause che hanno provocato la frana. Per Dario Balotta di Legambiente Basso Sebino non ci sono dubbi sul ruolo della cementifera. “Nella prima relazione del professor Casagli dell’Università di Firenze c’è scritto che le uniche cause accertate sono state le escavazioni selvagge avvenute negli anni”. Un parere condiviso anche dal sindaco: “Penso che la relazione ci sia. Questo cementificio è sul territorio da più di cent’anni e in qualche modo avrà influito sulla frana”. Per questo oltre mille cittadini hanno firmato una petizione su change.org per chiedere la chiusura e la bonifica dell’impianto. “È arrivato il momento di chiuderla – conclude Botto – la responsabilità di coloro che hanno sfruttato il territorio per 120 anni dev’essere individuata. Secondo il principio europeo chi ha inquinato deve pagare”.