Una norma, molto probabilmente un decreto legge, per imporre l’obbligo di vaccinazione anti-Covid a chi lavora in corsia. E bloccare sul nascere il fenomeno dei contagi riconducibili a infermieri e operatori sanitari non immuni. Ad annunciare la nuova iniziativa del governo, in conferenza stampa a palazzo Chigi, il premier Mario Draghi e il ministro della Salute Roberto Speranza, il quale tuttavia puntualizza come “la stragrande maggioranza” dei lavoratori del settore abbia “dato il buon esempio” accettando la dose. L’accelerazione sul tema, apprende ilfattoquotidiano.it da fonti di governo, si deve soprattutto ai focolai ospedalieri che negli ultimi giorni hanno interessato la Liguria: dopo il caso del policlinico San Martino di Genova – 17 positivi nel reparto di Pneumologia Covid-free – si sono scoperti altri due cluster all’ospedale di Lavagna (8 pazienti e un infermiere) e in una rsa di Tiglieto, nel savonese (2 anziani e 3 operatori). Sui contagi al San Martino indaga anche la procura genovese, che ha aperto un fascicolo per omicidio colposo sul decesso di Giulio Macciò, imprenditore 79enne morto – da positivo al Covid – a un passo dalle dimissioni. I pm, a quanto si ricostruisce, sono orientati a ipotizzare una responsabilità colposa del datore di lavoro nell’aver permesso a un’infermiera non vaccinata di lavorare in quel reparto.

Ma a questo punto, almeno per i casi futuri – come aveva chiesto lo stesso procuratore di Genova Franco Cozzi – è quasi certo che a sciogliere il nodo interverrà direttamente una legge dello Stato. La forma giuridica su cui lavorano gli uffici legislativi dei ministeri di Giustizia, Lavoro e Salute è quella del decreto legge, in modo di applicare immediatamentele nuove norme. Il decreto sull’obbligo non dovrebbe riguardare tutto il personale sanitario ma solo chi di loro lavora a contatto con i pazienti. Tra le sanzioni previste si ipotizza la sospensione o forse persino il licenziamento. Nel dl, secondo quanto trapela, ci sarà anche lo scudo penale per medici e infermieri impegnati nelle somministrazioni, fatti salvi i casi di colpa grave. E l’ampliamento degli indennizzi per chi a seguito del vaccino subisce lesioni permanenti.

Allo stato, chiaramente, si tratta ancora di una bozza: la versione finale potrebbe approdare in Consiglio dei ministri già la prossima settimana. “Serve intervenire nel modo più rapido, per dare un messaggio univoco e non abbandonare la materia a interpretazioni giudiziarie”, dice al fatto.it il sottosegretario alla Salute, lo spezzino Andrea Costa. “Non è più accettabile che i cittadini rischino di essere contagiati da chi dovrebbe curarli”. “È già tardi, bisognava pensarci tempo fa”, rilancia il direttore generale del San Martino, Salvatore Giuffrida. “Per mesi abbiamo avuto le mani legate. Il datore di lavoro non può limitare le mansioni di un dipendente per motivi sanitari, lo può fare solo il medico aziendale. E per le norme sulla privacy non sappiamo nemmeno i nomi di chi ha rifiutato l’iniezione”.

Peraltro, la legittimità della decretazione d’urgenza per introdurre un obbligo vaccinale – messa in discussione negli anni passati – è stata messa nero su bianco da una pronuncia della Corte costituzionale del gennaio 2018, redatta proprio dal ministro della Giustizia Marta Cartabia, nella veste di relatrice della Consulta. L’anno precedente, infatti, la regione Veneto aveva impugnato il cosiddetto decreto Lorenzin – che imponeva 6 nuove vaccinazioni obbligatorie ai minori di 16 anni per l’iscrizione a scuola – contestando un’invasione delle competenze regionali in materia di salute e la mancanza dei requisiti di necessità e urgenza. Argomenti bollati come infondati dalla Consulta: “Questa Corte ritiene che rientri nella discrezionalità – e nella responsabilità politica – degli organi di governo apprezzare la sopraggiunta urgenza di intervenire, (…) anche in nome del principio di precauzione che deve presidiare un ambito così delicato per la salute di ogni cittadino come è quello della prevenzione”, scriveva nelle motivazioni l’attuale Guardasigilli. Aggiungendo che “la copertura vaccinale (…) richiede di essere messa in opera indipendentemente da una crisi epidemica in atto”. Un argomento che non può non valere a maggior ragione adesso, dopo oltre un anno di pandemia.

Rispondendo a un’altra censura sollevata dalla regione Veneto – la supposta maggior efficacia, per raggiungere la copertura vaccinale, del “convincimento” e della “persuasione” rispetto all’obbligo – la sentenza ricorda come l’articolo 32 della Costituzione implichi “il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività”: perciò “la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’articolo 32 Costituzione, se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri”. E il legislatore ha carta bianca “nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo”.

Posizione in linea con quella espressa dalla costituzionalista Lorenza Carlassare, che in un’intervista al Fatto spiegava come la libertà di rifiutare un trattamento sia garantita dal legislatore “quando non sia in gioco l’interesse della collettività”, mentre “la situazione che stiamo vivendo ora riguarda chiaramente l’interesse della comunità”. Per cui, concludeva, “sicuramente legittimo è ogni intervento diretto a prevenire o fermare malattie contagiose che si risolvono in un diretto danno sociale. La vaccinazione è un esempio tipico”. Infine, ad aprire alla possibilità di introdurre limitazioni sul luogo di lavoro ai non vaccinati anche con legge regionale, c’è un’ulteriore pronuncia firmata da Marta Cartabia: la 137 del 2019, relativa alla legge pugliese che imponeva specifiche vaccinazioni obbligatorie per consentire l’accesso degli infermieri ai reparti a rischio (estesa di recente al vaccino anti-Covid). La sentenza dichiarava infondata la questione di legittimità sollevata dal Governo per violazione di competenza, sulla base del fatto che l’obbligo non fosse imposto alla generalità dei cittadini, ma “specificamente agli operatori sanitari (…) allo scopo di prevenire e proteggere la salute di chi frequenta i luoghi di cura: anzitutto quella dei pazienti, che spesso si trovano in condizione di fragilità e sono esposti a gravi pericoli di contagio, quella dei loro familiari, degli altri operatori e, solo di riflesso, della collettività. Tale finalità perseguita dal legislatore regionale – si legge ancora – è del resto oggetto di attenzione da parte delle società medico-scientifiche, che segnalano l’urgenza di mettere in atto prassi adeguate a prevenire le epidemie in ambito ospedaliero, sollecitando anzitutto un appropriato comportamento del personale sanitario, per garantire ai pazienti la sicurezza nelle cure”.

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