La società Catalent assicura: "Acciaio e ferro sono finiti a Terni per lo smaltimento, nessuna spedizione negli Usa o all'estero". Ma i documenti di esportazione dicono il contrario, con gli ispettori che vogliono fare chiarezza anche sul rapporto tra materiale inviato, peso e costo. Sabato nello stabilimento in provincia di Frosinone sono stati trovati 29 milioni di dosi del farmaco
C’è una segnalazione all’Agenzia delle Dogane che aggiunge un particolare su cosa accade nello stabilimento Catalent di Anagni, in provincia di Frosinone. Qui si infiala il vaccino AstraZeneca e sempre qui sabato sono state trovate 29 milioni di dosi di cui nessuno sapeva nulla. Una scoperta che ha irritato e messo sull’allerta tutti i leader europei a partire da Mario Draghi: perché mai erano lì? E dove finiscono le dosi che non vengono consegnate all’Italia e all’Europa? In attesa delle risposte, ci sono un fatto inedito e una bugia. Dallo stabilimento della Catalent tra gennaio e marzo sono partite verso gli Stati Uniti alcune spedizioni di materiale che i doganieri ritengono ora di approfondire. Sentita da ilfattoquotidiano.it, l’azienda ha smentito: da Anagni nessun carico è partito in direzione Usa. Le bolle della dogana, però, raccontano una verità diversa: carichi di ferro, acciaio e cassoni sono state spedite da Anagni alla Catalent Pharma Solutions di Philadelphia. Nelle dichiarazioni c’è un altro elemento che ha incuriosito i doganieri: il rapporto tra materiale, peso e costo che non torna. Ma andiamo con ordine.
Lo scorso sabato, su segnalazione della presidente Ursula von der Leyen, ad Anagni hanno bussato i Nas inviati dal ministro Speranza. Il loro mandato è capire come mai 2,9 milioni di fiale, pari a 29 milioni di dosi, si ritrovassero fermi in magazzino, nei frigoriferi, mentre per l’Europa la casa farmaceutica annunciava ulteriori tagli alle forniture. Sono andati lì anche per impedire flussi non documentati di fiale fuori dall’Unione Europea. Il sospetto cova orami ai vertici delle istituzioni comunitarie. Giovedì è stato uno dei temi delicati al Consiglio d’Europa dove la presidente von der Leyen ha reagito evocando la linea dura e un meccanismo di controllo dell’export “rafforzato”, capace cioè di bloccare le esportazioni delle aziende che aggirando i divieti tramite triangolazione non rispettano i contratti con la Ue. Un inasprimento delle norme chiesto ormai dai principali leader dell’Unione, a partire da Draghi, Macron e Merkel. “I cittadini si sentono ingannati” ha scandito il premier italiano, illustrando loro il “caso Anagni”.
In questi precari equilibri internazionali si inseriscono le bolle d’accompagnamento oggetto della segnalazione all’Agenzia delle Dogane, documenti che ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare. Le spedizioni cerchiate in rosso sono almeno tre, tra fine gennaio e febbraio; ma ce ne sono altre a marzo e sono abbastanza singolari da far partire una prima segnalazione all’Agenzia delle Dogane. Tra le ipotesi c’è anche quella di un raggiro del sistema di controllo delle merci tramite false dichiarazioni: dico che dentro le casse c’è ferro e legno, ma in realtà c’è altro. La società, sentita da ilfattoquotidiano.it, ribadisce che il sito di Anagni di Catalent esporta vaccini solo in Olanda con destinazione Covax (cioè Paesi in via di sviluppo) e Belgio per le destinazioni europee, con spedizioni dirette, senza triangolazione. Non ci sono altri destinatari. Alla domanda se da Anagni sia uscito materiale ferroso l’azienda fa sapere che “effettivamente sono state sostituite delle celle frigorifere e il 23 gennaio circa 25 tonnellate di inerti sono stati smaltiti in una discarica di Terni”. Esibisce anche le fatture ma esclude qualunque esportazione di ferro e acciaio verso gli Usa o in qualunque altro posto fuori dall’Italia.
Eppure i documenti doganali dicono l’opposto: che dallo stabilimento in quei giorni “ferro e acciaio” – così si legge nella dichiarazione all’esportazione – siano finiti a 7mila chilometri di distanza e non certo per essere smaltiti. Da Anagni, tramite voli Ups su Roma e Milano, sono stati spediti negli Usa 1300 chili di materiale tra ferro/acciaio, casse mobili e contenitori vari. La destinazione è Philadelphia, sede della Catalent Pharma Solutions. Una seconda spedizione con dicitura “altri lavori di ferro e acciaio” risale alla seconda metà di febbraio. Anche il valore della merce è piuttosto singolare: il peso netto dichiarato è 80 chili, il valore 25mila dollari. Fanno 259 euro al chilo. I conti non tornano: il ferro costa 0,226 euro, l’acciaio circa un euro al kg. In quelle casse c’era ferro che vale oro? Anche la spedizione avvenuta a metà febbraio e indicata come “casse mobili e contenitori” è singolare: 12 colli dal peso di 960 chili per un valore di 150mila dollari. Nessuna indicazione dell’eventuale contenuto. Anche in questo caso tocca accertare se fossero d’oro, visto che ogni singolo contenitore vale 12.500 dollari. Di certo nessuno ha controllato quelle esportazioni. Fino a prova contraria è tutto lecito e regolare: agli ispettori il compito di fugare ogni eventuale dubbio.
Aggiornato dalla redazione web l’1 aprile 2021 alle 11.28