di Antonella Caroli*
Quello che sta succedendo nel Canale di Suez, ci obbliga a una riflessione generale sul trasporto marittimo e sull’alto livello infrastrutturale richiesto. Più volte Italia Nostra è stata chiamata ad esprimersi sul gigantismo delle navi, sia passeggeri che commerciali, e sulle trasformazioni delle coste legate agli adeguamenti, cioè: ampi spazi retroportuali e piattaforme logistiche nei porti.
Italia Nostra forse è conosciuta nel mondo anche per il lavoro svolto nelle città-porto: Rotterdam, Amburgo, Sidney, Melbourne, Cape Town, Stoccolma, Danzica, Brema, Genova, Fiume. Sono tanti gli studiosi dei porti che hanno riconosciuto il nostro ruolo a livello internazionale per la rivitalizzazione dei vecchi scali, a partire dal Porto Vecchio di Trieste, il “waterfront” ancora oggi più appetitoso al mondo. La difesa di questo rilevante patrimonio del distretto storico-portuale ha quindi consolidato una competenza più che trentennale anche sul fronte dei porti moderni, tanto che nel 1996 è nata una collana di Italia Nostra su questi temi. Pubblicazioni diffuse tra gli studiosi internazionali, come quelle intitolate Logistica intermodale e riuso dei vecchi porti e Trieste e Amburgo: mito e realtà delle città-porto.
Ancora prima, con la crescita della “containerizzazione” negli anni Settanta, la nostra associazione si è impegnata nella difesa delle vecchie infrastrutture dismesse a causa delle mutate dimensioni delle banchine e delle attrezzature elettromeccaniche per la caricazione e la scaricazione delle merci unitizzate, non più adeguate alle necessità delle moderne modalità di trasporto.
Il tema dello sviluppo dei porti negli anni è stato sottovalutato da Italia Nostra a livello nazionale, nonostante l’ampliamento degli impianti portuali comportasse un importante consumo di suolo (vedi piattaforme logistiche e aree retroportuali), oltre che allungamenti di banchine e riconfigurazione di dighe. Tale sviluppo non è, inoltre, slegato da problemi quali l’inquinamento prodotto dalle navi in sosta nei porti, per far fronte al quale in diversi scali, fra cui Trieste, si sta progettando l’elettrificazione delle banchine in modo da fornire energia alle navi durante le loro soste.
Il discorso dello sviluppo portuale non può essere comunque limitato al nostro Paese ma deve riguardare anche l’intera Europa e i problemi della navigazione nel mondo. L’incidente di Suez ha, infatti, bloccato i traffici fra l’Europa e i paesi dell’Oriente, e l’Italia in particolare ha visto coinvolto in questa crisi più del 40% dei suoi traffici marittimi.
La necessità di adeguare banchine e territori potrebbe in futuro cambiare totalmente la configurazione delle nostre coste e dell’entroterra. Considerato che ogni porto ha dei piani di sviluppo a medio-lungo termine, nel nostro Paese sono stati istituiti i “Sistemi portuali” al fine di coinvolgere più scali e disporre di una pianificazione adeguata al territorio e alle coste di competenza.
Tale pianificazione prevede, a seconda della tipologia e delle dimensioni delle navi da accogliere nei singoli porti, una serie di adeguamenti tecnico-funzionali. Una mega portacontainer, come quella arenata nel canale di Suez (400 metri di lunghezza e 59 di larghezza) richiede infatti, per l’ormeggio, enormi spazi di banchina e adeguati fondali. I porti del Nord Europa, come per esempio Rotterdam e Bremerhaven, negli scorsi decenni hanno potuto adeguarsi più rapidamente per accogliere navi sempre più grandi anche grazie alla configurazione dei territori costieri, pianeggianti e facilmente dragabili per creare nuovi approdi idoneamente attrezzati.
Italia Nostra è consapevole che, prima di pensare allo sviluppo dei tanti porti italiani, bisogna fare i conti con la disponibilità o meno di spazi a terra e a mare, e considerare che non tutti i porti possono diventare “grandi”. Negli ultimi anni Trieste ha acquisito una particolare importanza a livello nazionale registrando una notevole movimentazione, nella quale il trasporto ferroviario delle merci in arrivo ha un ruolo tutt’altro che secondario. Questo incremento dei traffici ha fatto da attrattore di importanti operatori internazionali, fra i quali il terminalista di Amburgo Hhla (Hamburger Hafen und Logistik AG), che è entrato nella compagine societaria della piattaforma logistica recentemente entrata in funzione.
Al porto di Trieste si stanno interessando anche i Paesi dell’est europeo, in particolare l’Ungheria che punta ad avere un proprio terminal nell’area, dismessa da alcuni decenni, che fino agli anni Ottanta ospitava la storica raffineria Aquila. Un’altra area destinata a futuri spazi portuali è poi quella della cosiddetta Ferriera, stabilimento siderurgico in fase di riconversione.
Questi esempi triestini di riutilizzo di aree industriali a forte inquinamento, aree presenti anche in altri scali italiani, costituiscono evidentemente importanti occasioni sulla strada, non priva di difficoltà, che deve portare a uno sviluppo ecosostenibile dei territori costieri.
*Consigliere nazionale