Cresce la preoccupazione nell’area di Melfi, in Basilicata, dove ha sede lo stabilimento Fca in cui vengono prodotte la Jeep Renegade e la 500 X. Da giorni si rincorrono voci su progetti di Stellantis (il nuovo gruppo a controllo francese nato dall’unione tra Fca e Psa) per ridurre i costi e addirittura sopprimere una linea di assemblaggio. Nulla di confermato ma, secondo fonti interpellate da ilFattoquotidiano.it, con dettagli abbastanza approfonditi da lasciar supporre che qualcosa in pentola stia davvero bollendo. Qualche elemento più concreto dovrebbe uscire dall’incontro tra azienda e sindacati fissato per il prossimo 15 aprile.
Ieri anche il sindaco di Potenza Mario Guarente ha espresso i suoi timori in una nota. “Mi adopererò affinché in un territorio già gravemente provato dalla crisi che ha attraversato e sta coinvolgendo tutti i settori, compreso quello industriale, ulteriori penalizzazioni non abbiano a concretizzarsi”, ha scritto il sindaco. Il primo cittadino del capoluogo lucano ha sottolineato di essere “venuto a conoscenza con vivo rammarico e grande preoccupazione delle indiscrezioni secondo le quali potrebbero verificarsi delocalizzazioni di parte della produzione del gruppo Stellantis, per quel che riguarda lo stabilimento di Melfi (Potenza), la più importante realtà produttiva lucana. Dispiace inoltre aver appreso delle difficoltà anche della Tfa (ex Firema) di Tito (Potenza), con una possibile delocalizzazione della produzione e conseguente trasferimento in altra sede, fuori regione, delle decine di operai”.
L’amministratore delegato di Stellantis Carlos Tavares ha esplicitamente escluso che ci saranno tagli negli stabilimenti italiani. E infatti, quasi sicuramente, non è di questo che si sta parlando. L’intenzione dell’azienda è però quella di comprimere i costi quanto più possibile. A farne le spese sono e saranno soprattutto i fornitori esterni con l’azienda che cercherà di internalizzare molti dei servizi appaltati “fuori”. Un primo assaggio si è avuto con il taglio ai servizi di pulizia che hanno interessato sia il sito di Melfi che altri stabilimenti. In alcuni sarebbero stati addirittura ridotto il numero dei bagni. A Melfi la decisione avrebbe già provocato il licenziamento di una quarantina di persone nell’impresa che forniva i servizi di pulizia. L’azienda ha garantito che non ci saranno ripercussioni sui protocolli adottati per continuare a produrre anche durante la pandemia.
Lo stabilimento di Melfi conta circa 7mila addetti che negli ultimi anni hanno vissuto lunghi periodi di cassa integrazione in vista della riorganizzazione dello stabilimento, in base ad un piano industriale che ora viene nuovamente messo in discussione. La regione Basilicata ha finanziato con un centinaio di milioni lo sviluppo dell’area ricerca e sviluppo del sito. L’indotto che ruota intorno allo stabilimento conta altri 7-8mila lavoratori. Intanto a Torino sarebbe in corso una sorta di “occupazione” dei piani alti da parte di nuovo personale francese. Lo Stato francese ha una partecipazione diretta nel nuovo gruppo del 6,5% e all’Eliseo è stato espressamente garantito che l’occupazione degli stabilimenti francesi non verrà toccata per almeno 4 anni. Anche lo Stato italiano, per ora abbastanza silente e da cui i sindacati auspicano una presenza un po’ più energica, qualche carta da giocare l’avrebbe. Lo scorso giugno ha garantito un prestito da 6,3 miliardi di euro erogato a Fca da Intesa Sanpaolo. Tra le condizioni della garanzia c’è anche quella di preservare i livelli occupazionali dei siti italiani, indotto inclusi.