I loro sogni erano banali, quasi ingenui. Proprio come quelli di tutti i ragazzini della loro età. Quando chiudevano gli occhi immaginavano di vestire la maglia di un club importante, di far esplodere di gioia la metà di uno stadio, di alzare addirittura al cielo un trofeo. Invece si sono ritrovati a vorticare in quel gorgo nero che li ha inghiottiti. Ancora. E ancora. E ancora. Per il resto della loro vita. Perché alcuni dei loro mentori, le guide che dovevano accompagnarli in questo viaggio verso l’El Dorado del pallone, erano allenatori capaci di trasformare semplici sconosciuti in stelle internazionali. Ma erano soprattutto dei pedofili. Fra il 1970 e il 1995 centinaia di piccoli calciatori inglesi hanno subito terrificanti abusi sessuali. Nelle piccole squadre che arrancavano fra i campi spelacchiati della provincia. Nei grandi club che incantavano stadi traboccanti. E la Football Association non è stata in grado di difenderli. Per ingenuità, per inesperienza, per ottusità.
La scorsa settimana il calcio inglese è stato trafitto dai risultati dell’inchiesta portata avanti da Clive Sheldon, uno dei giuristi più importanti del regno di sua maestà. Settecentodieci pagine che sono un unico, dolorosissimo, pugno allo stomaco. L’inchiesta nasce nel 2016. Andy Woodward, ex difensore di Crewe Alexandra, Bury e Sheffield United, rilascia una lunga intervista al Guardian. Dice di aver subito continui abusi sessuali e psicologici dall’allenatore delle giovanili del Crewe, Barry Bennell (in foto). E non c’è più stato giorno della sua vita in cui non ha desiderato di morire. Il suo racconto è affilato, le sue parole taglienti. Andy apre una crepa in un muro di silenzio che dura ormai da decenni. E la luce comincia a filtrare da quella fessura. Da quel momento si fanno avanti in tanti. Ex piccoli calciatori che non sono cresciuti, ma che sono solo invecchiati. Insieme trovano il coraggio di sciogliere in parole quell’indicibile violenza che hanno dovuto subire. Solo che stavolta puntano il dito, fanno nomi. Molti sono violentatori seriali già in carcere. Altri sono morti. Ma le loro posizioni sono tutte da rivedere.
Perché ora ci sono un’infinità di nuovi procedimenti giudiziari da portare a termine. Più di 840 nuove presunte vittime si fanno avanti, raccontando oltre 2100 nuovi “incidenti”. Per cinque anni Clive Sheldon interroga le vittime, vede il dolore accartocciare le loro facce, le lacrime precipitare dai loro occhi. “Si tratta di un fallimento istituzionale e sistemico”, scrive in quella montagna di fogli. Perché nessuno aveva mai pensato che servisse un piano strategico, un’azione congiunta per proteggere i ragazzi. Anzi, peggio. “In quel periodo – scrive Sheldon – la violenza sessuale sui minori era considerata come qualcosa che capitava all’interno delle famiglie o negli ambienti residenziali, non nel mondo dello sport”. Una granitica certezza che non si è mai sbriciolata. Neanche quando hanno iniziato a girare voci su molestie e abusi da parte di alcuni allenatori. Neanche quando le dicerie si sono trasformate prima in accuse e poi in condanne. Proprio come nel caso di Frank Roper, un allenatore che a partire dagli anni Sessanta ha avuto per due decadi un legame lavorativo non formale, ma secondo Sheldon piuttosto stretto, con il settore giovanile del Blackpool FC. Piccolo dettaglio: Roper è stato condannato per molestie sessuali a minori nel 1960. E poi ancora nel 1961, nel 1965 e nel 1985. Senza che nessuno sollevasse mai il dubbio sulla sua adeguatezza all’incarico che gli era stato affidato.
È una situazione surreale. La società non ha svolto neanche il più basilare dei controlli. Ma è anche vero che “mancava un meccanismo formale con il quale il club avrebbe potuto essere informato di queste condanne”. Chi molestava, chi stuprava, chi abusava, poteva continuare a lavorare con i bambini. Perché in assenza di regole, tutto era demandato alla sensibilità dei singoli. Che spesso non era poi così affinata. Per ventiquattro anni Dario Gradi è stato l’allenatore del Crewe Alexandra. Ed è stato l’uomo che ha portato Barry Bennell nel club. Ma non solo. Nel 1975 è vice allenatore del Chelsea. Il padre di un ragazzo accusa il tecnico delle giovanili Eddie Heath di aver abusato del figlio. Solo che Gradi non prende provvedimenti contro il suo tecnico. Quarant’anni più tardi Sheldon ha interrogato Gradi sull’accaduto. E la sua risposta è spiazzante. Non pensava che infilare una mano nei pantaloni di un ragazzino potesse essere considerata un’aggressione sessuale. Un’idea agghiacciante. Soprattutto perché Gradi, estraneo alle accuse, è stato sincero.
L’inchiesta specifica un punto. Otto club professionistici hanno scelto di non scegliere. Chelsea, Aston Villa, Newcastle United, Southampton, Peterborough, Manchester City, Crewe Alexandra e Stoke City non sono stati in grado di fornire risposte adeguate davanti alle accuse e alle voci di abusi da parte dei loro tesserati o collaboratori. Ma le società non hanno coperto i loro allenatori. Si è trattato di un problema culturale. Mancavano sensibilità e competenza nel capire cosa stava accadendo. Al resto ci ha pensato la ritrosia a denunciare l’accaduto. Le vittime erano “bullizzate, terrorizzate o manipolate per mantenere il segreto”. Erano loro a sentirsi sbagliate. Erano loro a illudersi di poter far finta di niente. Per una vita si sono imposte si essere forti, di non caricare gli altri delle proprie sofferenze. Una premura che gli ha regalato stati d’ansia permanenti, attacchi di panico, depressione, disturbi post traumatici. Pochissimi report sono arrivati sulle scrivanie dei club. E spesso sono stati declassati a dicerie. Secondo Sheldon: “C’era spesso la sensazione che senza ‘prove concrete’ o un’accusa specifica da parte di un bambino, nulla poteva o doveva essere fatto, e quindi c’era una riluttanza a indagare o monitorare, figuriamoci affrontare l’autore del reato e interferire con le sue azioni. Di conseguenza, in molti casi, gli autori sono stati in grado di nascondersi all’interno del calcio e usare le loro posizioni per rovinare la vita di molti bambini”. L’inchiesta ruota intorno a una manciata di nomi. E anche solo pronunciarli diventa doloroso. Perché in oltre vent’anni di attività hanno lasciato segni indelebili sulla psiche di centinaia di bambini. Come Barry Bennell, uno che ha lavorato per anni nel Crewe Alexandra e nel Manchester City. Solo che la sua nomea di rabdomante del talento nascondeva un segreto atroce.
Bennell è stato ripetutamente condannato per abusi sessuali su bambini. Così ora sta scontando una condanna a 34 anni. Durante il processo di è autodefinito “un mostro”, mentre Sheldon lo ha dipinto come un “pedofilo seriale che ha distrutto i sogni e le vite di molti ragazzi che erano stati affidati alle sue cure”. Bob Higgins, invece, ha lavorato per il Crystal Palace, il Southampton e il Peterborough United. E fra il 2018 e il 2019 è stato condannato per 46 capi di imputazione per reati sessuali contro bambini. E poi Ted Langford, che ha lavorato all’Aston Villa e che nel 2007 è stato condannato a tre anni per molestie sessuali contro 4 persone. Ma la lista è ancora lunga. La posizione di Eddie Heath è particolare. Sheldon scrive che “avrebbe abusato di minorenni per tutto il tempo che ha trascorso nel calcio giovanile“, un periodo lunghissimo spalmato su “cinque squadre di calcio professionistiche dalla metà degli anni ’50 fino al 1983”. Eppure “non è mai stato indagato o perseguito per i reati che avrebbe commesso”.
Il Chelsea ha commissionato un’indagine indipendente dalla quale è emerso che “Heath avrebbe aggredito almeno 22 ragazzi”. George Ormond, invece, è stato condannato due volte. Nel 2002 per reati sessuali contro 5 ragazzi e nel 2017 per 35 capi d’accusa per “aggressione indecente”. L’inchiesta ha riportato a galla antiche paure della società britannica. I dati sulle violenze sessuali subite da minori sono ancora contrastanti. Secondo il Governo, infatti, il 7.5% degli adulti fra i 18 e 74 anni ha subito abusi sessuali prima dei 16 anni. Vuol dire che più di 3 milioni di persone hanno sperimentato la violenza sulla loro pelle. Secondo la National Society for the Prevention of Cruelty to Children, i numeri sarebbero più contenuti, intorno al 5%. Ma se si prendono in esame anche le violenze psicologiche, allora la cifra schizza alle stelle: un minorenne su cinque ha subito abusi o maltrattamenti. Numeri che dimostrano quanto sia ancora lunga la strada da intraprendere per mettere al sicuro i più piccoli.