di Paolo Di Falco e Marta De Vivo
“Francesca Manfredi è la ragazza bresciana di 24 anni ritrovata morta lo scorso agosto. Dalle prime indagini è stato accertato che ad ucciderla è stata la sua prima dose di eroina iniettata in vena”. Questa la notizia battuta durante la scorsa settimana dietro cui si nasconde non solo la storia di una ragazza, non solo il dolore di una nonna ma anche quella di tanti ragazzi che, come in un circo eterno, non si stancano di correre continuamente su quella fune sottile che separa la vita dalla morte, solamente per il gusto di provare l’ebrezza di oltrepassare il limite, di spingersi oltre infischiandosene delle conseguenze.
Francesca, così come la descrive la nonna Gilda e le varie foto sui social, era una ragazza sempre allegra, cresciuta proprio con lei che al Corriere della Sera ha raccontato: “Aveva due anni e due mesi quando è venuta a vivere con me. L’ho vista bambina, l’ho vista studiare e diventare grande, allegra, felice, socievole”. Scorrendo la sua bacheca Facebook tanti sono i momenti di allegria, le feste, le notti spensierate passate con gli amici, e proprio una di queste notti le è costata la vita. Nel suo sangue c’erano tracce di chetamina, cocaina, ecstasy, benzodiazepine, cannabinoidi, eroina… insomma tutte sostanze spesso dai nomi inglesi, scientifici facili da procurare e reperire in qualsiasi città italiana.
Un vortice di sostanze con le quali, nonostante gli effetti, ci si sente soli come nelle feste, nei video dove “il divertimento” coincide con solitudine, dove più persone ti circondano, più ti senti solo e irraggiungibile. Così in queste serate senza rimpianti dove, troppe volte, con tutta una vita davanti, i sogni si trasformano in sostanze da consumare e si smette di pensare “al dopo” per concentrarsi solamente “sull’istante”, l’obiettivo è cercare “sballarsi di più” ed essere costantemente, come recita una frase nella bacheca di Francesca, “più out che in”. Poi accade che nella baldoria generale qualcuno sviene, altri vomitano e qualcuno purtroppo non si risveglia.
Colpisce per esempio la testimonianza dell’amica di Francesca che ricorda il suo respiro affannoso, quel “provare a svegliarla dandole degli schiaffi”, quella presa di coscienza di cosa stava accadendo tra la baldoria generale e la disperazione. In mezzo a tutto questo, si spegnevano la vita e i sogni di Francesca, si spegneva la vita della bambina che la nonna credeva ormai al sicuro. Nonostante i suoi problemi era una brava ragazza con tutta la vita davanti che, sempre sul suo profilo Facebook, un paio di anni fa scriveva: “Mi porto via con me” e alla fine purtroppo l’ha fatto per davvero.
Spesso e volentieri questi giovani ragazzi finiscono nel vortice della droga anche a causa di un vuoto da parte delle istituzioni che, quasi sempre, non intervengono prontamente prima che il peggio arrivi e, altre volte, non intervengono proprio specialmente se si tratta di ragazzi maggiorenni. In questa spirale ci finiscono ragazzini di 14 anni ma anche persone di 60 anni e oltre: il mercato nero infatti cresce ogni anno di più e la droga ormai costa pochissimo. Basti pensare che una sola dose di crack costa circa 5 euro e, quindi, accessibile a tutti. Le persone arrivano anche a prostituirsi pur di ottenere la dose, arrivano anche a rubare e mentire, danno il peggio di loro pur di riuscire ad accaparrarsi la droga.
Da anni c’è il dibattito sulla legalizzazione delle droghe pesanti: molti sostengono che metterebbe fine allo spaccio di droga e toglierebbe guadagno alla mafia, altri sostengono che rendendola più accessibile aumenterebbe anche il numero di consumatori. In più c’è anche un discorso meramente etico da fare: lo Stato può prendersi una responsabilità così grande sulla salute delle persone? Questa domanda dovrà sempre restare centrale nel dibattito anche perché la droga non è uno scherzo: ammazza, rovina la vita delle persone e distrugge intere famiglie. Ci dobbiamo tutti chiedere cosa fare concretamente per arginare questo fenomeno il prima possibile, dato che troppe persone hanno già perso la vita.