Con la pandemia la povertà è aumentata soprattutto nelle famiglie dove c'è un lavoratore attivo. E se con il nuovo governo il salario minimo è uscito dall'agenda politica, temi come il dumping contrattuale - praticato anche nel perimetro della pubblica amministrazione - non ci sono mai entrati. Filcams: "Stipendi da 500 euro, eppure non riusciamo a rinnovare il contratto da otto anni". Il dem Nannicini: "Con Draghi temi fuori dai radar. Per riforme di questa portata serve un'iniziativa da parte dell'esecutivo". Il giuslavorista: "La riforma Biagi del 2003 ha consentito i subappalti con contratti diversi nella stessa filiera". I casi del ccnl Multiservizi e di quello Servizi fiduciari
“Salario minimo? Per ora è fuori dai radar del governo”. Il senatore dem Tommaso Nannicini, primo firmatario del ddl sulla giusta retribuzione targato Pd, prende atto che è tutto rinviato. È vero, il confronto con l’iniziativa del M5s era incagliato e nemmeno con i sindacati andava meglio. Eppure la discussione andava avanti, in un Paese dove il 2020 conta un milione di nuovi poveri e l’incremento maggiore è avvenuto nelle famiglie dove è presente un lavoratore, dall’8,3% del 2019 al 10,7% per gli occupati tra i 35 e i 44 anni (Istat). Ma la povertà, ultima frontiera del lavoro dopo anni in cui credevamo di aver toccato il fondo col precariato, non è solo una questione di salario. E allora è lecito domandarsi che fine faranno problemi che già da vent’anni non trovano spazio nell’agenda della politica, e che la crisi legata al Covid promette di peggiorare. Questioni come quelle del dumping contrattuale, di una concorrenza fatta di appalti al ribasso e mancati controlli “sulla quale il legislatore non ha mai davvero posto l’attenzione”, conferma Emanuele Menegatti, ordinario di Diritto del Lavoro a Bologna.
Che il problema non sia soltanto quello della paga lo dimostra il conflitto sindacale in alcuni settori dei servizi, come quelli delle pulizie o della vigilanza privata, dove il rinnovo del contratto collettivo manca da anni nonostante gli stipendi da fame e l’estrema flessibilità oraria. “Si trattasse solo dell’adeguamento salariale, probabilmente avremmo già chiuso il rinnovo del contratto. Invece si avanzano pretese anche su diritti come la retribuzione nella malattia”, spiega Cinzia Bernardini, segretaria nazionale Filcams Cgil e responsabile per il contratto collettivo nazionale multiservizi, che ormai viene applicato anche a lavoratori di altri settori semplicemente perché conviene.
Nella catena dei subappalti vince chi applica quello che costa meno – Può sembrare un paradosso, ma ormai combattere la povertà dei lavoratori non è meno complesso che abolire quella dei disoccupati. Prendiamo i 9 euro lordi di paga oraria delle proposte parlamentari per il salario mimino: tre milioni di lavoratori italiani sono al di sotto di quella soglia. Come ci siamo arrivati? Parte del problema riguarda la concorrenza al ribasso innescata dalla riforma Biagi del 2003. “All’interno della stessa filiera produttiva, la legge del 1960 contro il caporalato obbligava ad applicare le stesse condizioni. Nel 2003 quella norma è stata abolita e da allora non ce ne siamo più occupati”, spiega il giuslavorista Menegatti. Se aggiungiamo la mancata riforma della rappresentanza, che agevola la moltiplicazione delle sigle sindacali e dei contratti – oggi il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) conta ben 935 ccnl – il gioco è fatto. E funziona più o meno così: un ente bandisce una gara per un servizio, la ditta che vince subappalta il servizio a un’altra ditta che invece di applicare il contratto di settore ne applica un altro perché costa meno e la legge, che non c’è, lo consente. “Reintrodurre oggi il vincolo sugli appalti interni avrebbe un impatto non banale, significherebbe ridurre le esternalizzazioni a quelle specialistiche, evitando quelle dettate dal solo profitto perché non converrebbero più”. Dopo vent’anni in cui l’Italia ha esternalizzato tutto il possibile, quanto sia alta la posta in gioco lo si capisce guardando ad alcuni settori che impiegano centinaia di migliaia di lavoratori, dove il 70% dei costi delle imprese è rappresentato dalle buste paga.
Il ccnl multiservizi usato anche in turismo, sanità e fabbriche – Settori come quello delle pulizie, con 550mila addetti, due terzi dei quali sono donne. Qui il contratto si chiama multiservizi. Niente sigle minori, si tratta di un accordo sottoscritto dai sindacati più importanti. Eppure la paga oraria al minimo e un’elevata flessibilità lo hanno trasformato in uno strumento di dumping contrattuale anche in altri settori. Con il turismo messo in ginocchio dal Covid, solo per fare un esempio, molti addetti di strutture alberghiere si sono visti togliere il contratto di settore e applicare il multiservizi perché meno oneroso per il datore. “Come in tanti ospedali, nelle mense, nei musei o nei servizi esternalizzati di molte grandi fabbriche, si tratta di applicazioni forzate”, sostiene la segretaria nazionale Filcams Bernardini. Ancora una volta, mancano regole. “Almeno negli appalti pubblici bisognerebbe definire il tipo di contratto che viene messo a gara, senza possibilità di applicare quello che più conviene”, aggiunge la sindacalista.
Ma c’è dell’altro. Ed è ciò che rende questi contratti ogni anno più vantaggiosi. “Scontiamo gli otto anni di mancato rinnovo, anni in cui un’inflazione pur contenuta ha eroso di un altro 6% stipendi che a volte non arrivano a 500 euro al mese perché la media settimanale è di venti ore lavorate”, racconta la segretaria Filcams. In Italia, infatti, il part time involontario riguarda il 65,2% degli occupati a tempo parziale (+1,3% nel 2020 rispetto al quarto trimestre 2019). E per operai e operaie del contratto multiservizi è la norma. “Anzi, mentre noi chiediamo un consolidamento del monte ore, le ditte pretendono di aumentare ancora la flessibilità”, spiega Bernardini, che punta il dito contro aziende, anche multinazionali, “che anche durante il Covid hanno visto aumentare i propri fatturati, vista la maggiore esigenza di sanificazione legata all’epidemia”.
Con il ccnl Servizi fiduciari paga oraria a 4 euro. “Dumping istituzionale” – E non è finita. C’è chi il multiservizi se l’è visto sostituire con il servizi fiduciari, altro contratto siglato dai sindacati confederali che gode di pessima fama. Si tratta degli addetti al portierato degli ospedali veneti, che nel passaggio al nuovo ccnl hanno denunciato una perdita del 40% dello stipendio. “E pensare che quando mi hanno fatto responsabile me l’hanno venduta come una grande promozione”, scherza Sandro Pagaria, sindacalista della Filcams nazionale e responsabile per i contratti di vigilanza privata e servizi fiduciari. Nel settore la paga oraria di ingresso al contratto può arrivare a poco più di quattro euro. “Eppure anche qui il rinnovo manca da sei anni, nonostante per noi il percorso di emersione del settore sia terminato”. Emersione del cosiddetto “portierato”, della vigilanza non armata, ma anche di custodi e steward di eventi sportivi, un esercito di oltre 100mila addetti “che fino al 2013 non erano coperti da ccnl”, spiega Pagaria. Ma oltre all’emersione non si riesce ad andare. Il sindacalista parla addirittura di “dumping istituzionale, perché la maggior parte degli appalti del settore sono appalti pubblici, vinti da offerte incoerenti con le tabelle retributive, che stanno in piedi con la riduzione della qualità del servizio e il taglio di addetti e quote orarie”.
“Serve una legge per evitare la concorrenza al ribasso tra contratti” – Insomma, i salari da fame fanno risparmiare anche la pubblica amministrazione. Dalla sanità regionale al più piccolo dei comuni, contratti come il multiservizi e il servizi fiduciari sono ovunque. “Con differenziali che arrivano a centinaia di euro rispetto ad altri contratti presenti nella stessa filiera”, spiega Orsola Razzolini, docente di Diritto del Lavoro all’Università Statale di Milano. In una relazione sull’adeguamento dei salari nell’Unione presentata a gennaio alla commissione Lavoro del Senato, Razzolini sottolinea come né la proposta di direttiva del Parlamento europeo, né i ddl di Pd e M5s sul salario minimo affrontano il problema delle catene di appalto. “Ai lavoratori rimane il diritto di sciopero e l’iniziativa giudiziale, ma le cause individuali sono in calo anche per i costi che il lavoratore deve sostenere in caso di sconfitta”, aggiunge. E ricorda quanto sarebbe utile la legge sulla nuova class action, votata nel 2019 e mai entrata in vigore. “Continui rinvii, speriamo che nel maggio di quest’anno sia la volta buona”. Ma Razzolini si augura che una soluzione possa emergere dal dibattito parlamentare sul salario minimo. “Unirei le proposte Catalfo e Nannicini, che già intervengono sulla rappresentanza superando così il problema dei contratti pirata. E aggiungerei l’introduzione del principio della parità di trattamento economico tra imprese che operano nello stesso ciclo di realizzazione d’opera o servizio, così da impedire la concorrenza al ribasso tra ccnl all’interno della stessa filiera”.
“Il governo batta un colpo. Welfare universale per permettere ai lavoratori di ribellarsi” – Ma se non bastasse la difficoltà di affrontare certi temi, tra il dire e il fare ci si è messa anche la recente crisi di governo per la regia di Matteo Renzi, e la discussione sul tema si è fermata. “Eppure, con i fondi del Recovery plan in arrivo sarebbe un ottimo momento per fare un salto di qualità nel mondo del lavoro, sul fronte dei salari ma anche su quello dei diritti”, ragiona il senatore dem Tommaso Nannicini, che proprio con Renzi fu sottosegretario alla presidenza del Consiglio. “Ma per riforme di questa portata serve l’iniziativa da parte dell’esecutivo, sennò in Parlamento finiamo sempre per piantare ognuno la sua bandierina e tutto finisce lì”, continua, senza dimenticare “l’esigenza di una rete universale di welfare, che offra alternative tali da permettere al lavoratore di ribellarsi a chi lo ricatta”. Salvo poi aggiungere che “l’attenzione rimane insufficiente, e se per il salario minimo oggi non c’è niente nel Recovery plan come nel Next generation Ue, per le varie forme di dumping in Parlamento non c’è mai stato nulla di incardinato”.