LA SPINTA - 2/3
Agghiacciante. Detto di un thriller è decisamente un complimento. E in effetti La spinta (Rizzoli), il romanzo d’esordio della scrittrice Ashley Audrain, è un thriller psicologico decisamente agghiacciante. Lo si capisce già dall’epigrafe, con una citazione di Redmond di matrice antropologica che introduce il tema centrale di tutto il libro: quello – tanto caro agli antichi greci – della maledizione di una stirpe. E proprio a un mito greco, quello di Medea, rimanda la vicenda, incentrata sulla figura di questa donna, Blythe, che si trova a fare i conti con il “demone” che si porta dentro, trasmessole dalla madre che, a sua volta, l’ha ereditato dalla sua di madre. Un “demone” che è arrivato anche alla sua primogenita Violet, manifestandosi fin dalla nascita e innescando un conflitto insanabile tra loro. Blythe, Cecilia, Etta e Violet sono donne “maledette”, di una crudeltà sottilissima e lacerante che va oltre ogni immaginazione. Infieriscono torture abominevoli al punto che una bambina di pochi anni uccide. Non una, ma due volte. Consapevolmente e volutamente. La spinta è un romanzo viscerale, attraversato da un senso di angoscia che si fa strada già dal primo capitolo, quando si assiste alla scena di questa donna, chiusa nella sua auto, intenta a spiare da una finestra la nuova vita del suo ex marito e della sua figlia primogenita, Violet. Addentrarsi nella lettura è come scavare, a mani nude, nell’animo della protagonista, una donna lacerata, costretta a tenersi tutto dentro per salvare quelle apparenze a cui il suo ex marito (il tipico finto uomo perfetto) tiene tanto. Come a lei, anche nella testa del lettore martella una domanda che diventa una vera ossessione: c’è davvero qualcosa che non va nella piccola Violet o è tutta una follia della madre? Quella spinta, c’è stata davvero? Un’ambiguità che si scioglie – ovviamente – solo alla fine. Voto (con turbamento): 9.