Davanti al Prefetto di Piacenza, Daniela Lupo, ha fatto mettere a verbale che il piano industriale “per l’Italia non prevede alcun impatto sul personale addetto alle attività di handling e pickup-delivery anche compreso quindi il sito di Piacenza”. Così si era espresso testualmente il rappresentante di FedEx-TNT, l’avvocato Daniele Parisi, soltanto l’8 febbraio scorso. Lo aveva fatto per placare gli animi dopo 15 giorni di scioperi e picchetti di fronte al polo logistico della società da parte di lavoratori e sindacalisti del SI Cobas, il sindacato di base che domina nella logistica emiliana ormai da dieci anni organizzando i facchini, al 90 per cento lavoratori stranieri. Ora, nemmeno due mesi dopo, quell’accordo sindacale viene smentito dai fatti. “Nell’ambito di una riprogettazione della rete, le operazioni di handing presso l’hub di Piacenza non sono più necessarie e le operazioni del sito verranno interrotte con effetto immediato”, recita una nota della multinazionale. Questo perché, scrive la società, “l’hub di Piacenza non svolge più un ruolo centrale nelle attività distributive”. Tuttavia, secondo quanto ricostruito da ilfattoquotidiano.it, il gruppo ha iniziato a spostare le merci in altri magazzini proprio nei giorni degli arresti dei sindacalisti che hanno organizzato la manifestazioni per ottenere garanzie occupazionali e tutele anche per i lavoratori in subappalto.

Un annuncio che arriva come un fulmine a ciel sereno. Proprio nelle ore in cui sindacati del settore logistica e trasporto merci hanno proclamato lo sciopero nazionale per il rinnovo del contratto di lavoro, che fa seguito a quello dell’intera filiera di Amazon della scorsa settimana. Ora nel “Magazzino d’Italia”, come è soprannominato il distretto della logistica piacentino che può contare su decine di provider per quasi tutti i marchi e i brand che contano, sono a rischio fra i 400 e i 600 posti di lavoro.

Il 30 marzo si è svolto in Prefettura a Piacenza un incontro urgente su richiesta del SI Cobas, alla presenza dell’assessore regionale allo Sviluppo economico e Lavoro, Vincenzo Colla, dell’Ispettorato del lavoro e della sindaca di Piacenza, Patrizia Barbieri. Il sindacato ha bollato la decisione della TNT-FedEx come una “chiusura inaccettabile” non dettata da ragioni economiche ma solo dalla volontà di eliminare la manodopera più sindacalizzata dei propri magazzini, ricordando all’amministratore delegato del ramo italiano di TNT-FedeX, Stefania Pizzetti, come da oltre un anno fosse stata manifestata preoccupazione per la situazione occupazionale del sito emiliano e in generale per il piano di ristrutturazione continentale annunciato dalla multinazionale, senza mai ricevere garanzie fino all’incontro in Prefettura dell’8 febbraio 2021.

Le manifestazioni più dure di fronte al magazzino FedEx si sono svolte proprio nelle settimane precedenti a quell’incontro, con pesanti conseguenze giudiziarie per lavoratori e sindacalisti. Fra gennaio e febbraio, per due settimane, la sigla di base ha bloccato le attività in ingresso e in uscita nel sito TNT di Piacenza. Proteste scattate con l’obiettivo di ottenere garanzie occupazionali ma anche il rimborso delle differenze non pagate nel 2020 per il Premio di produzione, il rinnovo del medesimo per il 2021, l’adeguamento a livello 3 di tutto il personale con mansione di caposquadra, la corresponsione ai lavoratori dei ticket mensa da 7 euro. Proteste indirizzate direttamente alla committenza – nonostante i lavoratori siano quasi tutti in sub appalto con cooperative di lavoro – proprio per obbligare la multinazionale a farsi carico delle condizioni di lavoro o a fare pressioni sui propri fornitori.

In seguito a queste concessioni e garanzie l’organizzazione sindacale aveva dato “l’immediata disponibilità alla sospensione dello sciopero e di qualsiasi altra manifestazione di protesta”, si legge nei verbali della Prefettura, come poi effettivamente accaduto dopo il 9 febbraio. Il 10 marzo però sono scattate le manette. Una maxi operazione della Squadra Mobile coordinata dalla Procura di Piacenza ha portato 29 fra lavoratori e sindacalisti del SI Cobas ad essere iscritti nel registro degli indagati per i reati di violenza, resistenza a pubblico ufficiale e invasione di edifici per i fatti svoltosi davanti ai cancelli della TNT. Secondo la Procura di Piacenza si tratterebbe di azioni messe in atto “al di fuori di qualsiasi lecita rivendicazione sindacale” e soprattutto di “qualsiasi vertenza e relazione industriale”. Una tesi respinta dagli avvocati dei lavoratori che hanno prodotto i comunicati stampa di Prefettura di Piacenza e Ministero dell’Interno proprio per dimostrare come le rivendicazioni avvenissero all’interno di una vertenza fra sindacato e azienda legittimata anche dalle istituzioni del governo italiano.

In seguito all’indagine, per cinque lavoratori che vivono e lavorano a Piacenza sono stati disposti i divieti di dimora in città, tanto che i destinatari della misura hanno affittato delle stanze nelle immediate vicinanze della provincia. Per due sindacalisti del Si Cobas, invece, sono scattati gli arresti domiciliari e il divieto di contatto con chiunque, anche telefonico e telematico, esclusi i familiari conviventi. Si tratta del rappresentante sindacale egiziano Mohamed Arafat e dell’italiano Carlo Pallavicini, già consigliere comunale della Sinistra a Piacenza. Misure che però il 26 marzo, dopo gli interrogatori di garanzia del 15 e 16 del mese, sono state revocate integralmente dal Tribunale del Riesame di Bologna disponendo l‘immediata liberazione degli indagati.

Il clima è destinato a surriscaldarsi nel piacentino. I facchini della logistica, al 90% stranieri, negli ultimi dieci anni si sono fortemente sindacalizzati. Lo hanno fatto in particolare dentro le fila del SI Cobas, che ha visto aumentare i suoi iscritti a colpi di migliaia di tessere. Un clima ben esemplificato dalla frase di un delegato del sindacato. Che, prima della pandemia, durante una plenaria a Roma dove si riunivano sigle di base, associazioni e partiti della sinistra radicale, ha dichiarato: “Quando dieci anni fa i primi operai stranieri in sciopero davanti ai magazzini vedevano arrivare i carabinieri erano felici, perché pensavano che fossero venuti ad arrestare i capi delle cooperative di lavoro”.

La pandemia ha reso ancora più teso il clima. Non avendo interrotto per nemmeno un giorno le attività lavorative dentro i magazzini o quelle di corrieri e trasportatori – considerati fra le attività essenziali da non chiudere mai per evitare il collasso del sistema distributivo d’Italia – la situazione ne ha risentito dal punto di vista sanitario. Proprio come accaduto nelle prime settimane dell’emergenza Covid a Bergamo e in Lombardia. Di certo è successo anche in Emilia durante la prima ondata, quando la provincia di Piacenza ha fatto registrare nel mese di marzo 2020 un aumento del 271% di morti rispetto alla media dei decessi del quinquennio precedente 2015-2019, con un tasso di mortalità di 240,8 per ogni 100.000 abitanti, leggermente più basso di Bergamo, identico a quello di Cremona. I sindacati come il SI Cobas hanno messo sul banco degli imputati per le morti anche il mancato rispetto delle normative di sicurezza sui luoghi di lavoro.

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