Il day after della gestione Covid siciliana è soprattutto a Biancavilla, paesino dell’entroterra siciliano, menzionato nelle carte dell’inchiesta perché a novembre i morti erano “assai, assai” e andavano “spalmati” su più giorni e che da oggi entra in zona rossa. Quel che è emerso martedì dall’inchiesta della procura di Trapani provoca sconcerto soprattutto qui, ai piedi dell’Etna, dove l’inizio del lockdown prende una piega inaspettata: “Io ora voglio sapere di cosa è morto mio padre e perché ho chiuso il negozio, perché non mi fido più di nessuno”, la voce di Vito Nicotra, parrucchiere di Biancavilla, di 55 anni, è ferma e decisa. Il padre, Salvatore, è morto di Covid lo scorso novembre.
In quei giorni nei dati trasmessi dalla Regione siciliana, stando alle intercettazioni dei carabinieri del Nas di Palermo, venivano “spalmati” 7 morti del paesino catanese per non alzare troppo i numeri: 19 invece di 26, fu il dato di quel giorno. I decessi rimasti fuori dal quel bollettino vennero recuperati nei giorni seguenti, quando si aggiunsero ad altri. Tra loro c’era Salvatore Nicotra, 81 anni. “Mio padre era un anziano molto vivace, ne dimostrava non più di 70”, ricorda il primogenito Vito. Oltre lui, Salvatore ha lasciato Giovanni e Fina e la moglie Carmelina Bisicchia, più una schiera di nipoti. Ma quando è morto era solo: “Non abbiamo neanche ricevuto una comunicazione che fosse morto, non uno che mi abbia detto “Signor famiglia di imbecilli, suo padre è morto”. Lo abbiamo saputo da un amico che lavora in ospedale”. Fa una pausa Vito, prende fiato, poi riprende a raccontare: “Mio padre sapeva che qualcosa non andava, mi ha mandato a dire di contattare le pompe funebri, che era tutto fatto. Guardi io forse non mi sto spiegando bene ma io non mi fido più di nessuno, di nessuno”, ripete. E chiede: “Ma se il tampone aveva dato esito negativo, perché lo hanno classificato come Covid?”.
Un primo tampone una positività l’aveva data, in realtà, poi non confermata da quello successivo, e a Biancavilla oggi non sono in pochi a risvegliarsi con una totale sfiducia sulle informazioni da Covid, nel primo giorno di zona rossa: “Mi devono spiegare adesso perché sono chiuso”, dice ancora Nicotra che oggi ha dovuto abbassare le serrande del suo negozio di parrucchiere. E continua: “Ce l’hanno comunicato la sera del lunedì, per il mercoledì e chissà se sono veri i dati. Io so solo che avevo fatto tutto quello che aveva detto Conte: sanificazione, distanziamento. Non uno che sia venuto a farmi un controllo, non ho avuto il piacere di sentirmi dire: ‘Sai che c’è Vito? Questa cosa non l’hai fatta e ora ti multiamo’. Però abbiamo dovuto chiudere lo stesso e nei giorni di Pasqua”.
Dopo la notizia dell’inchiesta e le intercettazioni che svelano dati del Covid alterati, nel paesino ai piedi dell’Etna c’è sconcerto: “È stato come rivivere la perdita di mia madre, morta di Covid propri in quei giorni (il 13 novembre, ndr)”, racconta anche Roberto Palermo, amico di Vito. È una vera e propria ondata di sfiducia quella che investe il paese nel Catenese di 23mila abitanti. Troppo poche per 7 morti, non a caso il dato alla dirigente del dipartimento “sembra esagerato”. La sfiducia a Biancavilla parte però dal primo cittadino, Antonio Bonanno, che già lo scorso novembre aveva dichiarato in più interviste che non si fidava dei dati forniti dalla Regione e adesso apre le braccia: “Ho avuto subito la percezione che i dati riguardanti la mia città non fossero esatti e l’ho detto chiaramente in dichiarazioni ufficiali riportate dalla stampa. Avendo questa percezione, mi sono subito attivato di conseguenza emanando un’ordinanza – impopolare in quei giorni – per la chiusura delle scuole e del mercato settimanale”.
Cinque mesi dopo, però, Biancavilla è in lockdown: “Sono stato io a chiedere la zona rossa – rassicura il sindaco di Biancavilla – Dopo avere promosso una serie di screening che hanno coinvolto cittadini e studenti. I positivi siamo andati a cercarli, proprio per avere un quadro il più aggiornato possibile della situazione. Ad oggi sono 257 i cittadini contagiati dal virus”. Numeri dietro ai quali si celano storie: “Si rende conto che io non sono riuscito a dire a mia madre che non abbiamo potuto vestire mio padre perché era in un sacco? Come glielo dicevo che era in un sacco? Non ha potuto tenergli la mano, dopo 60 anni di matrimonio. Questi sono in numeri di cui parlavano al telefono”. E sui politici il giudizio è tranchant: “Per me questa è gente che non sa fare il proprio lavoro. Non c’è nient’altro da dire se non che non sanno quello che fanno e poi io devo chiudere. E mio padre…”, e qui Vito, senza più fiato, si ferma.