Il capo dello Stato ha approfittato del rimpasto di governo per procedere con la sostituzione del ministro della Difesa, generale Fernando Azevedo e Silva, reo di essersi messo di traverso alle sue volontà autoritarie. Una mossa che ha alimentato il conflitto con l'esercito
Isolato per il suo insanabile negazionismo rispetto alla pandemia di coronavirus, criticato da chi prima scommetteva su di lui per la mancanza di capacità mostrata nel gestire crisi economica e sanitaria, e insicuro della rielezione nel 2022. Stretto all’angolo il presidente del Brasile Jair Bolsonaro, attacca più che difendersi. E alla ricerca di conferme e di un sostegno cieco rispetto ai suoi desideri di controllo autoritario del paese, non ha esitato ad aprire la crisi anche con chi finora ha più di tutto garantito la sua permanenza al potere: le forze armate.
Il capo dello Stato ha approfittato del rimpasto di governo nato dalla necessità di sostituire l’ormai compromesso ministro degli Esteri, Ernesto Araujo, per procedere con la sostituzione del ministro della Difesa, generale Fernando Azevedo e Silva, reo di essersi messo di traverso alle sue volontà autoritarie. In risposta alla decisione di silurare il ministro, a loro volta, i capi di stato maggiore delle forze armate infatti, Edson Pujol (esercito), Ilques Barbosa (marina) e Antonio Carlos Bermudes (aeronautica) hanno deciso di comune accordo di mettere a disposizione il proprio incarico nelle mani del nuovo ministro della Difesa, generale Walter Sousa Braga Netto. Una risposta corporativa e coordinata che mostra una frattura apparentemente irreparabile tra governo e forze armate. Uno scenario impensabile fino a pochi mesi fa che minaccia contemporaneamente la stabilità di Bolsonaro e la tenuta democratica del paese.
Secondo la ricostruzione pressoché unanime della stampa nazionale, il ministro Azevedo e Silva è stato costretto alle dimissioni da Bolsonaro per non aver voluto coordinare un’azione delle forze armate sul Parlamento e la Corte suprema, dichiarando lo stato di eccezione e conferendo i pieni poteri al presidente. Secondo quanto ricostruito, Azevedo avrebbe infatti nelle ultime settimane tentato di contenere la volontà di Bolsonaro di condurre un ‘auto-golpe’, evocato e minacciato in varie occasioni e invocato negli ultimi giorni con maggiore veemenza soprattutto come risposta all’opposizione di Corte suprema, parlamento e governatori ai desiderata del presidente in relazione alla gestione della pandemia di coronavirus. Sostenendo la tesi che le forze armate sono istituzioni dello Stato e non del governo, Azevedo si era opposto anche alla sostituzione del capo di stato maggiore dell’Esercito, Edson Pujol, accusato da Bolsonaro di non aver voluto criticare pubblicamente la recente decisione della Corte suprema di annullare le condanne emesse irregolarmente contro l’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva, incubo elettorale del presidente.
Bolsonaro pensava probabilmente che l’aver concesso enormi benefici economici e un ampio potere politico ai militari nel suo governo gli garantisse anche una forma di controllo superiore a quella prevista dalla Costituzione. Una convinzione che appare evidentemente lontana dalla realtà. Inoltre emerge una sempre maggiore volontà dei generali di tentare di dissociarsi dalle azioni criticabili di Bolsonaro rispetto alla pandemia dal momento che potrebbero causare conseguenza serie al paese in caso di apertura di inchieste davanti ai tribunali internazionali. Non aiuta i generali, tuttavia, la grande contraddizione di fondo nella condotta delle forze armate che ne minaccia credibilità ed efficacia. Sebbene la volontà attuale è quella di mostrarsi come esponenti di una istituzione apolitica, i militari agiscono in Brasile come un vero e proprio attore politico da molto tempo. Il ‘partito’ dei generali esprime un terzo dei ministri, settemila funzionari di governo, sottogoverno e della pubblica amministrazione, oltre a un centinaio di amministratori di società pubbliche brasiliane.
Come un partito i generali valutano ora convenienza e possibili conseguenze delle proprie scelte politiche. Avendo ottenuto benefici, concessioni e potere soltanto garantendo la stabilità del presidente Bolsonaro, perché mai ora che il destino politico del presidente sembra ormai prossimo all’epilogo dovrebbero imbracciare le armi per difenderlo con un’azione che sarebbe producente prima di tutto per loro? Difendere con un’azione militare Bolsonaro significherebbe condannare se stessi. Lasciare il presidente da solo nell’assumere un tono sempre più autoritario e nell’adottare le misure sempre più criticabili potrebbe invece aiutare a distanziarsene. In difficoltà, indebolito e insicuro, Bolsonaro punterà infatti alla radicalizzazione dei suoi più fedeli seguaci che, a differenza dei militari, valutano meno le conseguenze. Gruppi di sostenitori che, armati grazie alle numerose leggi approvate dal governo, sono pronti a correre in difesa del proprio messia.
Il questo clima da resa dei conti con praticamente tutte le istituzioni dello Stato coinvolte in una guerra di posizione, domani si ‘festeggia’ il golpe del 1964 che consegnò il paese alla dittatura fino al 1985. Una commemorazione, resa legittima da una decisione della giustizia, che rischia di trasformarsi in nuovo momento simbolico della storia del paese.