La resistenza partirà dai piccoli gruppi e dalle istituzioni educative, al grido di “Università di tutto il mondo unitevi, Scuole di tutte il mondo unitevi!”. Sarà l’internazionale della conoscenza l’unica nostra speranza. Dalla ricerca Cultura 2030 guidata dal sociologo Domenico De Masi le previsioni sono catastrofiche e alcuni passaggi che riporto ne sono chiara rappresentazione:
“La politica e la cultura non saranno in grado di proteggere un’informazione e un’educazione non prone a interessi privati, perché assisteremo a un’ulteriore perdita di potere della politica rispetto all’economia”; “Nel 2030 ci saranno pochissimi ricchi che deterranno luoghi, conoscenza, potere e influenza; essi saranno considerati influencer naturali, filantropi, persone che garantiscono un benessere diffuso”. E ancora, si legge: “Nella cosiddetta società dell’informazione e della comunicazione il ruolo dei media sarà sempre più strategico, influente e pervasivo grazie alle crescenti opportunità delle nuove forme d’interazione sociale da essi determinate”.
Non stupisce, dunque, che molti si siano già arresi ed altrettante stiano per farlo. Si sono arresi Stati, Organizzazioni internazionali, partiti politici e cittadini. Qual è l’unica transizione culturale da fare di fronte a questo futuro distopico? Ridare primato alla vera politica perché è l’unica strada che dà potere ai cittadini e ad un modello democratico.
Partiamo dall’assunto che, secondo le stime “nel 2030 la politica, tenterà di controllare […] conoscenza e l’informazione. Ma non riuscirà a farlo”. E dunque “il controllo della conoscenza e dell’informazione sarà nelle mani degli uomini più ricchi del mondo i quali coincideranno sempre più con operatori del settore della rete, dei social media, dell’informatica”. Dunque, senza un adeguato intervento della politica, il quarto potere sarà in mano agli uomini più ricchi del pianeta, erodendo le possibilità di tendere a una società che possa dirsi democratica, e sostituendo questo ideale con quello che a tutti gli effetti possiamo definire “fiction democratica”.
La fiction democratica è la società tecnologica e dell’informazione che ci illude di poter essere attori protagonisti della nostra vita mentre ci tratta da prodotti. I cittadini che creano e “alimentano contenuti diventano consultabili attraverso le società che gestiscono il Web (YouTube quale ‘archivio dei nostri ricordi’ e Google quale ‘porta di accesso’ e di indicizzazione dei contenuti). In qualsiasi momento (per motivi diversi: economici, politici, sociali, etici, culturali) tali portali possono decidere di vendere, chiudere, cedere, disperdere o addirittura cancellare l’immenso patrimonio culturale che conservano online”. E’ già accaduto con Trump pur dietro ad un intimo apprezzamento di una parte della comunità mondiale, e accadrà ancora anche quando la scelta sarà più discutibile.
Contro tutto questo c’è solo una flebile fiammella che la ricerca Cultura 2030 ci lascia intravedere:
“Le istituzioni educative saranno le uniche capaci di accumulare gli strumenti per la conoscenza” anche se dovranno competere con i colossi dell’informazione e della conoscenza, così come i “gruppi ristretti di persone cercheranno di sfuggire alla banalità e alla standardizzazione della ‘cultura’ e della ‘informazione’ con incontri tra e per persone reali”.
Politica sana fatta tra e per le persone, scuola e università potrebbero trovarsi presto in un unico fronte per resistere ad un’epoca dove i più ricchi e i più potenti player della società dell’informazione e della comunicazione dominano completamente in modo antidemocratico e manipolatorio la nostra vita ancor più di quanto accada oggi. L’ultima resistenza sarà efficace e sarà speranza quanto più gli ideali e le rivendicazioni dei movimenti giovanili saranno reali e non addomesticati e la prima rivendicazione è un pianeta su cui vivere e una civiltà umana da proteggere dal collasso.