Giustizia & Impunità

Allontanare il personale sanitario che rifiuta il vaccino? Una disputa per me insensata: è già un obbligo

Molto si parla in questi giorni di addetti al servizio sanitario nazionale che rifiutano il vaccino e, da più parti, si invoca un immediato provvedimento di allontanamento per evitare pericoli di contagio in ambienti certamente a rischio per la presenza di soggetti deboli, quali ospedali, case di cura per anziani eccetera. Suscitando la furiosa reazione dei “liberisti” che strillano a squarciagola contro la compressione delle libertà costituzionali. Francamente, mi sembra una disputa totalmente priva di senso, specie di fronte ad una pandemia di queste proporzioni.

E forse sarebbe il caso di ricordare che sin dal 1994, la Corte costituzionale ha troncato ogni dubbio. Non c’era il Covid ma c’era l’Aids e una operatrice sanitaria di Padova era stata cautelarmente sospesa dal servizio (ma non dallo stipendio) per essersi rifiutata di sottoporsi ad esami sanitari diretti ad accertare l’esistenza o meno di infezione da Hiv, invocando la legge che vieta di effettuare accertamenti sanitari contro la volontà dell’interessato. In quella occasione, la Corte stabilì che la tutela della salute “implica e comprende il dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri”.

Tanto più quando si tratta di “malattie infettive e contagiose, la cui diffusione sia collegata a comportamenti della persona, che è tenuta in questa evenienza ad adottare responsabilmente le condotte e le cautele necessarie per impedire la trasmissione del morbo”. Insomma il diritto costituzionale alla salute comporta anche “il dovere di tutelare il diritto dei terzi che vengono in necessario contatto con la persona per attività che comportino un serio rischio, non volontariamente assunto, di contagio”. E, quindi, una legge che dicesse il contrario sarebbe incostituzionale (sentenza n. 218 del 1994).

Questo vale anche a tutela della salute di chi rifiuta la vaccinazione: venendo al Covid e ai giorni nostri, il 19 marzo 2021 il Tribunale di Belluno ha respinto il ricorso di due infermieri e otto operatori sociosanitari che avevano rifiutato di sottoporsi alla vaccinazione Pfizer e che, per questo, erano stati sottoposti alla visita del medico competente, sospesi dal lavoro e messi in ferie “forzate” dalla direzione delle Residenze sanitarie per anziani presso cui lavoravano.

Il giudice ha rilevato, in proposito, che i ricorrenti sono impiegati in mansioni a contatto con persone che accedono al loro luogo di lavoro; e quindi la permanenza dei ricorrenti nel luogo di lavoro comporterebbe per il datore di lavoro la violazione dell’obbligo che gli impone di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti, essendo fatto notorio che “il vaccino per cui è causa – notoriamente offerto, allo stato, soltanto al personale sanitario e non anche al personale di altre imprese, stante la attuale notoria scarsità per tutta la popolazione – costituisce una misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l’evoluzione della malattia”.

Insomma, la sospensione dal lavoro, in questi casi, non è una facoltà ma un obbligo del datore di lavoro per tutelare anche la salute di chi non vuole vaccinarsi (la sentenza si può leggere su www.questionegiustizia.it, 29 marzo 2021, con nota di Roberto Riverso, magistrato di Cassazione).

Ma vi è di più. Secondo le regole del codice penale, l’operatore sanitario che rifiuta il vaccino e resta a contatto con i pazienti della sua struttura rischia addirittura un processo penale per lesioni o omicidio se, a causa di questo suo comportamento, contagia un paziente provocandogli la malattia o, peggio, la morte. Anzi, se si provasse che egli ha rifiutato il vaccino e continuato, nelle sue mansioni, a restare a contatto con gli ammalati pur essendo consapevole del rischio che provocava loro, si potrebbe concludere che ha accettato questo rischio; commettendo, quindi, un reato non colposo ma volontario per “dolo eventuale” (quando si accetta il rischio dell’evento).