La Suprema Corte è stata costretta a intervenire sull'argomento dopo che il sindaco di un Comune lombardo si era opposto a trascrivere l’adozione - avvenuta a New York - di un bambino da parte di una coppia costituita da un italiano e un cittadino americano. I giudici sostengono che non può essere un "elemento ostativo all’adozione" il fatto che "il nucleo familiare sia omogenitoriale", ma va escluso chi fa ricorso alla "maternità surrogata"
Ancora una volta, nel nostro Paese le conquiste in materia di diritti civili si ottengono a colpi di sentenze anziché con l’intervento del Parlamento. Con il verdetto 9006 emesso a Sezioni unite, la Cassazione ha dato definitivamente il via libera al riconoscimento dei bambini adottati all’estero da coppie gay. Il motivo è che non può essere un “elemento ostativo all’adozione” il fatto che “il nucleo familiare sia omogenitoriale”. Ma c’è un limite destinato a fare discutere: va escluso chi fa ricorso alla “maternità surrogata” (cioè la Gestazione per altri), pratica che in Italia è considerata un reato. Nel prendere la loro decisione, i giudici si richiamano anche alla Corte costituzionale che ha più volte “sollecitato il legislatore” ad ampliare “le condizioni di accesso all’adozione legittimante“, dato che fin dagli anni 90 ci si confronta “con le richieste di costituzione di status genitoriali adottivi da parte di soggetti diversi dalle coppie coniugate eterosessuali”.
In assenza di una legge, la Suprema Corte è stata costretta a intervenire sull’argomento dopo che il sindaco di un Comune lombardo si era opposto a trascrivere l’adozione – avvenuta a New York – di un bambino da parte di una coppia costituita da un italiano e un cittadino americano. Il 9 giugno 2017 la Corte d’appello di Milano aveva già detto sì al riconoscimento dell’adozione del piccolo, che oggi ha circa dieci anni. Ma la vicenda è finita davanti alla Cassazione che, vista la delicatezza e la novità del caso, ha deciso di affrontarla dalle Sezioni Unite, presieduta dal Primo presidente della Corte Pietro Curzio, relatrice Maria Acierno.
I giudici fissano però dei paletti. Per quanto riguarda il provvedimento di adozione in questione, nella sentenza si legge che “non si è fondato solo sul consenso dei genitori biologici ma anche sugli esiti di un’indagine relativa all’idoneità della coppia adottante“. Questo significa che “il controllo giurisdizionale non si è limitato al riscontro del consenso dei genitori del minore ma ha avuto carattere complessivo, investendo tutte le parti del giudizio”. Ed è proprio questo che dovrà avvenire in futuro: eventuali richieste di trascrizione di bambini adottati all’estero dovranno essere valutate caso per caso.
C’è poi la questione della Gpa, pratica riconosciuta in diversi Paesi del mondo ma non in Italia. Per la Cassazione, se in casi del genere emerge “con obiettività probatoria” che la scelta “di privarsi del figlio minore da parte dei genitori biologici derivi da un intervento di carattere oneroso degli adottandi” o che il “consenso prestato” sia la conseguenza di un “accordo vietato e sanzionato penalmente dal nostro diritto interno” in quanto viola “diritti fondamentali della persona come l’accordo sulla surrogazione di minore“, allora devono essere valutate – al momento della trascrizione dell’atto o da parte dei giudice – non solo tutta la documentazione formale ma anche “le modalità di produzione” dell’adozione.