Secondo una consulenza grafologica disposta dai magistrati della procura di Milano, che indagano sul governatore della Lombardia per autoriciclaggio e false dichiarazioni nella voluntary disclosure, la firma usata dalla madre nel 2005 non sarebbe autentica. Ieri l'ufficio inquirente guidato da Francesco Greco ha inviato una rogatoria alle autorità svizzere chiedendo tutti i rapporti bancari per capire l'origine dei 2,5 milioni "sospetti"
La firma dalla madre di Attilio Fontana usata per aprire il conto all’Ubs di Lugano nel 2005 è falsa. Almeno secondo una consulenza grafologica disposta – secondo l’agenzia Ansa – dai magistrati della procura di Milano, che indagano sul governatore della Lombardia per autoriciclaggio e false dichiarazioni nella voluntary disclosure. La firma della madre di Fontana è stata comparata con quelle apposte nello stesso periodo dalla signora su alcune denunce e altri atti. È questo il ‘match’, affidato a un esperto grafologo, che ha portato la Procura di Milano a ritenere falsa la firma della donna. Ieri l’ufficio inquirente guidato da Francesco Greco ha inviato una rogatoria alle autorità svizzere. Secondo i pm Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas, coordinati dall’aggiunto Maurizio Romanelli, l’autoriciclaggio si sarebbe realizzato con investimenti finanziari ‘classici’, in azioni ad esempio, che il governatore ha compiuto dal 2015 in poi, dopo aver ‘scudato‘, sempre secondo l’accusa in modo irregolare, i circa 5,3 milioni di euro su due conti Ubs a Lugano. Per l’accusa l’esponente leghista ha reimpiegato così soldi illeciti perché frutto di una presunta evasione fiscale (prescritta) che riguarderebbe in particolare oltre 2 milioni (quasi 2,5 è stato spiegato) con cui è stato aperto un conto nel 2005, gestito da un trust alle Bahamas legato ad una fiduciaria del Liechtenstein, cointestato al presidente della Lombardia e a sua madre. Su questo conto sono confluiti i quasi 3 milioni di euro che erano su un altro conto chiuso sempre nel 2005 e che era stato aperto nel ’97 dalla madre del governatore lombardo.
È proprio quella firma usata nel 2005 che secondo l’indagine sarebbe falsa. Dubbia per gli inquirenti sarebbe, dunque, l’origine degli oltre 2 milioni con cui è stato acceso quel conto 16 anni fa, anche perché la madre in quegli anni era già in pensione, percepiva circa 25mila euro all’anno e non sarebbe stata in grado di versare quella cifra. Agli atti e nel fascicolo della voluntary disclosure, che per i pm è irregolare dato che Fontana avrebbe indicato che i 5,3 milioni erano tutti frutto di eredità della madre, non ci sarebbero documenti che dimostrano la provenienza di quegli oltre 2 milioni, come bonifici o altro. Da qui l’ipotesi di presunta evasione fiscale su quel denaro, con possibili rimesse in contanti portate in Svizzera, e il conseguente autoriciclaggio contestato per gli investimenti finanziari, perché i soldi non sono rimasti fermi sul conto svizzero. Fontana ha sempre ribadito la regolarità della voluntary e, attraverso Jacopo Pensa, si è messo a disposizione per produrre documenti e fornire chiarimenti.
Ora gli investigatori vogliono comparare la firma riportata in calce sui documenti allegati nel 2015 dal governatore alla voluntary disclosure con quella apposta in calce nei rapporti bancari originali dalla signora e con quelle del figlio. Con la rogatoria, inoltrata ieri in Svizzera, la Procura di Milano chiede di avere accesso, in particolare, agli estratti conto del rapporto bancario, aperto all’Ubs di Lugano nel 2005, perché da quei documenti si potrebbe capire, secondo gli inquirenti, qual è l’origine dei 2,5 milioni di euro “sospetti”, ritenuti frutto di un’evasione fiscale – presunto reato che sarebbe ormai prescritto – da parte del governatore. Dagli estratti conto si potrebbe sapere, infatti, se ci sono stati bonifici o depositi in contanti, e comunque come sono arrivati quei 2,5 milioni sul conto
Secondo l’agenzia Ansa le autorità svizzere, dopo l’avvio della rogatoria da parte della Procura, dovrebbero inoltrare ai magistrati milanesi quasi certamente i documenti relativi all’apertura del conto, mentre non è automatico che la Svizzera decida di fornire ai pm gli estratti conto, i quali, invece, possono essere messi a disposizione del cliente del rapporto bancario. Gli investigatori del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza hanno cercato di reperire documentazione, anche sentendo a verbale dei commercialisti, su quei 2,5 milioni, senza trovare ‘pezze d’appoggio’ e, dunque, gli estratti conto potrebbero fare chiarezza su quella provvista. Da quanto emerso, Fontana era delegato ad operare sul conto aperto dalla madre nel ’97 (chiuso successivamente), su cui erano depositati circa 3 milioni di euro poi confluiti nel rapporto bancario aperto nel 2005. Su quest’ultimo conto, invece, il governatore non avrebbe avuto la delega a fare operazioni.
Nel frattempo l’inchiesta sul cosiddetto ‘caso camici‘, nella quale Fontana assieme ad altri è indagato per frode in pubbliche forniture, si avvia alla chisura già nelle prossime settimane, dopo le ultime attività istruttorie, l’indagine autonoma e parallela, originata dalla prima, sui soldi in Svizzera resterà aperta anche in attesa degli esiti della rogatoria. Potrebbe passare anche qualche mese prima della risposta delle autorità elvetiche. L’indagine sui conti dei Fontana nasce proprio perché il governatore ha tentato di fare partire un bonifico dal conto svizzero Ubs, tramite la milanese Unione Fiduciaria, di 250mila euro a favore della Dama spa del cognato Andrea Dini e della moglie Roberta. Operazione che per gli inquirenti è da considerarsi una sorta di risarcimento per il mancato guadagno dalla fornitura di 75mila camici e altro materiale sanitario a Regione Lombardia. Fornitura che era stata trasformata in una donazione quando la vicenda era emersa e i media avevano iniziato a parlare di un possibile conflitto di interessi tra il presidente della Regione e il cognato in affari con Aria, la centrale acquisti regionale. per quell’affare dei camici mai andato in porto. Per Banca d’Italia quel bonifico da 250mila euro era sospetto: scatta l’allerta che porta alla luce l’esistenza dei due conti che sarebbero riconducibili alla madre. Tra gli interrogativi ai quali stanno cercando di rispondere gli inquirenti anche il motivo per cui la madre di Fontana abbia affidato il secondo conto svizzero alla società Montmellon Valley, con sede alle Bahamas, a sua volta controllata a Vaduz nel Liechtenstein dalla fondazione familiare Obbligo, e nel 2014 quando aveva 91 anni abbia inserito nella struttura societaria anche il Tectum Trust, di cui lei e il figlio erano beneficiari.