Il commissario Ermanno Sgaravato è indagato dai pm di Milano Fontana e Targetti con l'ipotesi di "causazione del dissesto per effetto di operazioni dolose". Lui e gli altri due nominati dal Mise hanno firmato nell'agosto 2018 un contratto del tutto diverso da quello preliminare approvato dal ministero. E con una società non in condizione di assicurare la continuità aziendale. Così, secondo l'accusa, l'operazione che doveva consentire il rilancio e la salvaguardia dei posti di lavoro è andata unicamente a vantaggio della società americana da loro coinvolta
Il dissesto di Shernon Holding, la società che gestiva 55 punti vendita di Mercatone Uno ed è stata dichiarata fallita nel maggio 2019 dopo aver accumulato un ‘buco’ di oltre 91 milioni di euro, era “inevitabile” e già scritto nell’agosto 2018. Quando, secondo il pm milanese Roberto Fontana e l’aggiunto Riccardo Targetti, i commissari straordinari nominati tre anni prima dal ministero dello Sviluppo hanno firmato con Shernon e con l’americana Gordon Brothers International un contratto del tutto diverso da quello preliminare approvato dal Mise. Mettendo in piedi un’operazione squilibrata da cui ha tratto vantaggio solo la Gordon. Per questo i magistrati, che nei mesi scorsi avevano chiesto il rinvio a giudizio degli amministratori di Shernon per bancarotta fraudolenta, hanno aperto un nuovo capitolo di indagine che coinvolge il commissario straordinario Ermanno Sgaravato. E martedì hanno inviato il Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Finanza a perquisire i suoi studi e acquisire documenti e mail negli uffici del ministero di via Veneto, che gestisce le procedure di amministrazione straordinaria scegliendo sia i commissari sia il comitato di sorveglianza.
Il commercialista Sgaravato è indagato con l’ipotesi di reato di “causazione del dissesto per effetto di operazioni dolose“: i pm, alla luce degli approfondimenti effettuati durante le indagini sul crac, si sono convinti che il fallimento che ha lasciato senza lavoro 1.800 persone è stato causato proprio dagli accordi sottoscritti da lui e dagli altri commissari Stefano Cohen e Vincenzo Tassinari (ex presidente di Coop Italia). E non dalle condotte degli amministratori di Shernon, tra cui alcune operazioni con parti correlate e pagamenti preferenziali, che hanno avuto un’incidenza “modesta” nel determinare il buco da quasi 100 milioni. Il fatto è che – come attesta la consulenza di due docenti della Bocconi per i pm – al momento della stipula del contratto definitivo, il 9 agosto 2018, la società guidata da Valdero Rigoni e controllata dalla maltese Star Alliance già non era in condizione di “assicurare la continuità aziendale”. E quel contratto, come rilevato dal curatore fallimentare di Shernon e confermato dal Tribunale di Milano in un provvedimento cautelare dello scorso luglio, stravolgeva completamente lo schema autorizzato dal Mise e fissato nel preliminare di giugno, quando a guidare il dicastero era ancora Carlo Calenda.
Lo schema di vendita autorizzato nel giugno 2018 – All’epoca era previsto che il supporto finanziario per l’operazione arrivasse dal fondo americano Tpg Six street partners, che avrebbe comprato dall’amministrazione straordinaria per 27 milioni gli immobili commerciali di Mercatone e versato 21 milioni di liquidità a Shernon la quale a sua volta avrebbe acquisito il magazzino a un prezzo pari al 30% del valore e pagando a rate dal semestre successivo: un’architettura studiata per consentire il rilancio dell’attività e il salvataggio dei posti di lavoro. Nel piano sarebbero stati coinvolti anche il gruppo polacco del mobile Brw e la turca Dogtas. Ma a fine luglio, poco prima del closing e poco dopo il passaggio di consegne al Mise con l’arrivo di Luigi Di Maio, Tpg si è sfilato e insieme a lui si sono eclissati gli altri partner. Nel frattempo Shernon si era pesantemente indebitata con i fornitori e il patrimonio netto era andato in negativo per 2,2 milioni. Di qui il venire meno della possibilità di stipulare il contratto “in una prospettiva di continuità aziendale”.
Il fondo Usa si sfila, i commissari vanno avanti lo stesso – Eppure i commissari non hanno rinunciato alla cessione. Sono andati avanti mettendo in piedi un’operazione completamente diversa: una vendita dei rami d’azienda “con riserva di proprietà” – che significa non incassare subito nemmeno un euro – e la cessione del magazzino al 35% del valore ma non a Shernon bensì a Commerce srl, società veicolo subito ceduta a Gordon Brothers. Shernon avrebbe dovuto vendere quelle merci in forza di un contratto estimatorio, dando priorità alle merci comprate dagli americani e al prezzo stabilito da loro, versando gli incassi su un conto oggetto di pegno a favore della Commerce, che le avrebbe poi girato gli importi di sua competenza. Come sottolinea il Tribunale di Milano nel decreto del luglio 2020, la vendita a prezzo ribassato che nello schema di giugno era finalizzata a “finanziare la continuità commerciale e occupazionale” ha assunto così, nel contratto di agosto 2018, “una connotazione schiettamente ed esclusivamente speculativa ad esclusivo vantaggio del terzo Commerce”. Risultato: la Gordon Brothers è stata l’unica a guadagnarci, con un risultato economico pari al 50% del capitale investito in soli sei mesi. L’anticipo di 9 milioni versato a Shernon, già indebitata, è finito in poche settimane, divorato dai costi di gestione e dai primi stipendi. E senza la liquidità prevista dallo schema originario la società è subito finita gambe all’aria.
I tre commissari, che nel corso dell’amministrazione straordinaria hanno accumulato perdite aggiuntive per 150 milioni di euro e per il lavoro fatto hanno chiesto un compenso di 6 milioni, si sono dimessi nel giugno 2019. I 1.300 lavoratori rimasti in capo a Mercatone in amministrazione straordinaria, di cui nel frattempo è stata sancita la cessazione dell’attività, sono ancora in cassa integrazione.