La Provincia autonoma ha deciso che gli studenti di ogni ordine e grado potranno tornare in classe solo se faranno due volte a settimana i tamponi rapidi in auto somministrazione. Una sperimentazione unica in Italia, ma i dirigenti scolastici sottolineano diverse problematiche: dalla carenza del materiale sanitario e del personale volontario, fino ai genitori che non ne vogliono sapere di far lo screening ai loro figli. Laura Coccardi, presidente locale dell’Anp: “Nella mia scuola ho un solo server per 44 classi e non potremo fare didattica sincrona”
Da mercoledì prossimo, gli studenti di ogni ordine e grado della Provincia autonoma di Bolzano che non faranno due volte a settimana i test antigenici rapidi nasali in auto somministrazione (i tamponi fai-da-te), non potranno entrare in classe ma saranno costretti a restare a casa in didattica a distanza. Lo ha deciso il presidente della Provincia, Arno Kompatscher, che nei giorni scorsi ha scritto la nuova ordinanza dando il via a una sperimentazione unica in Italia, avvallata dall’Azienda sanitaria dell’Alto Adige. Un provvedimento emanato tra qualche mal di pancia dei membri della giunta e con i dirigenti scolastici che sollevano una serie di perplessità legate non solo all’organizzazione, ma anche alla gestione degli alunni che non faranno lo screening volontario. I problemi sul piatto sono tanti: dal reclutamento del personale volontario che deve somministrare i test all’impossibilità di garantire una dad sincrona per chi resterà a casa, fino all’affidabilità dei test e al reperimento del materiale sanitario.
I presidi, in queste ore, si stanno confrontando con genitori che sono agguerriti e che non ne vogliono sapere di far fare i tamponi ai loro figli a scuola. A portare la voce di tutti i dirigenti scolastici è Laura Coccardi, presidente locale dell’Associazione nazionale presidi: “Sono molto perplessa. E’ sbagliato vincolare la frequenza in presenza al test in un momento in cui nel resto d’Italia andranno a scuola (in zona arancione, ndr). Non sono in grado di dire se questi test sono affidabili o meno ma so che anche su questo tema ci sono famiglie che hanno sollevato dei dubbi. C’è poi una questione legata alla didattica a distanza: nella mia scuola (liceo delle scienze umane ‘Giovanni Pascoli‘ di Bolzano) ho un solo server per 44 classi e non potremo fare didattica sincrona”.
Coccardi ad oggi su 850 alunni registra il 63% di adesioni allo screening ma anche un 13% di rifiuti. Il resto delle famiglie non ha ancora risposto. “Tra le questioni sollevate c’è anche quella della somministrazione dei test. Non sappiamo ancora se avremo i volontari della Croce Rossa. Se non ci saranno dovrei trovare dei docenti volontari ma non sarà facile. Il 7 non si partirà perché non vi sono ancora per tutti i test ma dall’8 chi manderà a casa il ragazzo che si presenta a scuola senza aver fatto il test? Non mettiamo in discussione l’importanza del tracciamento ma chi ha preso questa decisione non si è preoccupato di riflettere sulle conseguenze”.
Ancor più dura Raffaella Lago, dirigente dell’istituto comprensivo Bassa Atesina e presidente della rete degli istituti comprensivi Alto Adige: “Abbiamo chiesto che questi test, presentati come semplici con auto somministrazione, fossero fatti a casa dalle famiglie, salvo poi comunicare eventuale positività alla scuola. Ma non siamo stati ascoltati. Come pubblica amministrazione dobbiamo ottemperare all’ordinanza ma non possiamo non dire che il provvedimento ha scatenato una guerra ideologica perché si va a toccare il diritto allo studio. Abbiamo famiglie che considerano il fatto che il bambino si debba sottoporre al test a scuola non idoneo”.
Lago, che su 580 studenti ha registrato a ieri 516 adesioni, è preoccupata in particolare per l’organizzazione: “Va gestito chi non dà il consenso e si presenta comunque a scuola. Abbiamo già ricevuto delle diffide e comunicazioni da parte delle famiglie, inoltre non abbiamo alcuna garanzia che vi siano sempre gli operatori della Croce Rossa a fare lo screening. Se dev’essere fatto dal personale scolastico, noi dirigenti non possiamo obbligare nessuno. Infine, nel momento in cui ho il personale impegnato a scuola, viene più difficile fare videoconferenze: la parte asincrona sarà garantita ma la parte sincrona non potremo farla come in altri momenti”.
Meno critico ma comunque preoccupato Franco Lever, preside dell’istituto comprensivo ‘Bolzano VI’ che conta 900 alunni: “Devo rispettare l’ordinanza, non posso esimermi. Certo ci sono delle difficoltà: preparare una video lezione è completamente diverso da avere i ragazzi in aula. Serve una regia per fare la didattica a distanza. Abbiamo completato l’invio del numero dei ragazzi che hanno aderito: in questo momento 38 alunni non hanno dato l’ok ma c’è tempo fino al 7. A noi servono 1700 tamponi a settimana: ci appoggeremo alle farmacie come ci hanno indicato”.
A rispondere alle perplessità dei capi d’istituto è l’assessore all’istruzione delle scuole italiane, Giuliano Vettorato, che non nasconde i suoi dubbi ma è convinto che grazie alla collaborazione di tutti, questa sperimentazione potrà avere effetti positivi: “I test devono essere un’opportunità e non una discriminante. L’ho detto anche in giunta. Sia chiaro: io non ho chiesto a nessun docente di somministrare i test. Farò il possibile per garantire nei miei istituti la presenza della Croce Rossa. Ad oggi abbiamo scuole dove hanno aderito il 90% delle famiglie e altre dove hanno dato il consenso solo il 70%”.