Edmundo cammina velocemente verso l’uscita dell’Artemio Franchi. Deve fare in fretta. Perché lì fuori c’è una macchina che lo aspetta. Tutto quello che vuole, adesso, è salire sulle scalette di quell’aereo. Poi sarà di nuovo Brasile. Poi sarà di nuovo Carnevale di Rio. Dentro la pancia dello stadio Gabriel Omar Batistuta si muove come a rallentatore. Carica il peso del suo corpo sulle stampelle, si issa in avanti, poggia a terra la gamba destra. Un passo dopo l’altro. Una smorfia di dolore dopo l’altra. È il 7 febbraio del 1999 e l’attaccante argentino non è mai stato così furioso. La Fiorentina ha appena pareggiato 0-0 in casa contro il Milan. Il primato in classifica è salvo. La Lazio è ancora due punti dietro alla squadra del Trap. Eppure a due minuti dalla fine della partita è arrivato il plot twist, il colpo di scena che rischia di ribaltare la stagione.

Edmundo lancia un pallone in avanti. Batistuta ha campo davanti a sé. Così inizia a correre. Un passo. Due passi. Tre passi. Poi sprofonda sull’erba verde del Franchi come un rapace colpito in volo. Sente il dolore addentargli il ginocchio sinistro, pizzicare i suoi occhi fino a riempirli di lacrime. Basta una frazione di secondo per capire la realtà, per guardare giù fino al fondo dell’abisso. Gli esami non confermano le paure, le amplificano. Batistuta, che ha segnato 17 reti in 17 giornate, dovrà stare fermo almeno 40 giorni. Qualche ora dopo il Re Leone ferito si presenza davanti alle telecamere. Non può dire quello che tutti pensano. Così si limita a dire quello che gli altri vogliono sentire. Dice che lo scudetto è ancora possibile, che alla fine la Fiorentina è ancora lì, in vetta alla classifica. “Ho visto i miei compagni – racconta – sono tutti belli caricati. Mi hanno promesso che daranno tutto anche per me. Quindi sono tranquillo”. Un giuramento condiviso da tutti all’interno dello spogliatoio. Tranne che da Edmundo.

Perché il brasiliano è già concentrato sulla prossima partita. Peccato che non la giocherà con la maglia della Viola, ma a torso nudo. È da tempo che ne parla. Fra poco le sue “Feras de Praia” affronteranno le “Estrellas de aeria” dell’amico Renato Portaluppi, ex meteora giallorossa, in un match di futvolei. Una passione che per Edmundo viene prima di molte altre cose. Anche prima del titolo di campione d’Italia. D’altra parte il brasiliano sta solo rispettando il suo contratto. Perché quando ha firmato con la Fiorentina ha fatto inserire una clausola che lo liberava per tutta la durata del Carnevale di Rio. Così lui ora balla. Sulla spiaggia da sogno di Ipanema. Nel sambodromo “Unidos de Tjuca”. Danza mentre qualche giorno più tardi, a Udine, Trapattoni va in panchina nonostante una colica renale. È lì che succede quello che tutti immaginavano. La Fiorentina si impantana anche contro i bianconeri. Una sconfitta che ghiaccia i sogni e surriscalda il risentimento.

I compagni vivono il viaggio di Edmundo come un tradimento. E gli voltano le spalle. Non che in precedenza lo amassero poi molto. Qualche minuto prima di infortunarsi Batistuta si era girato verso la panchina di Trapattoni. E aveva gridato “Cambialo!”. Non serviva pronunciare quel nome. Bastava guardare l’indolenza che stava mettendo in campo. Una svogliatezza che il brasiliano si portava dietro da un po’. Due giorni prima della partita contro il Milan, Edmundo aveva abbandonato l’allenamento. “Mister – aveva detto – non mi passano la palla, io me ne vado”. Trapattoni l’aveva guardato e gli aveva dato la sua benedizione: “Vattene pure”. Ora però le cose sono diverse. Perché la società ha provato a cambiare le carte in tavola. La situazione è delicata, l’equilibrio fragile. Ammettere di aver lasciato partire l’attaccante per il Carnevale di Rio con Batistuta infortunato sarebbe un suicidio. Così in un primo momento Luciano Luna prova a spiegare che Edmundo è dovuto partire per un indifferibile appuntamento in tribunale. Solo che dal Brasile smentiscono qualsiasi impegno con la Giustizia.

Al resto ci pensano le immagini del suo costumino turchese. “Sono due giorni che ci stiamo facendo prendere in giro da tutti”, dice Batistuta. Ed è vero. Una situazione grottesca che, di stadio in stadio, viene sintetizzata con la formula “Bati all’ospedale, Edmundo al Carnevale”. La lontananza dall’Italia non annacqua la ferocia dell’attaccante. Il brasiliano parla in continuazione dei suoi compagni. E le sue parole sono imbevute di veleno. “Di Batistuta non ci si può fidare”, dice. “Rui Costa è invidioso di me”, giura. La Fiorentina deflagra nell’arco di poche settimane. Lo scudetto passa da sogno a qualcosa di molto peggiore, un’illusione che sembrava a portata di mano e che è svanita come una bolla di sapone. Colpa dell’infortunio di Batistuta, degli scricchiolii di una rosa che era andata oltre le proprie possibilità. E di Edmundo, anche. Eppure i dirigenti viola sapevano a cosa andavano incontro. Fin dal primo minuto.

Quando nel 1997 sono volati a Rio per trattare con il Vasco da Gama, erano stati messi in guardia sulla volubilità di un attaccante che si considerava più forte di Ronaldo. Anche Zagallo, l’allenatore del Brasile, l’aveva sottolineato. “A Edmundo non serve lo psicologo, ma uno psichiatra”. L’attaccante ha appena 26 anni ma lista dei suoi colpi di testa fuori dal campo è già lunga. Troppo lunga per un potenziale fuoriclasse. Il rito iniziatico risale al 1994, quando vedeste la maglia del Palmeiras. In una partita di campionato la punta spende una parte significativa del suo tempo a provocare la panchina del São Paulo. Poi passa all’azione centrando un avversario. L’arbitro gli mostra il rosso, ma per lui non è ancora finita. La rissa deve andare avanti. Fino all’intervento della polizia. Sei mesi dopo Edmundo atterra in Ecuador per la Copa Libertadores. Si gioca contro il Nacional. Il Palmeiras viene sconfitto, ma il brasiliano accetta il verdetto del campo prendendo a calci la telecamera di un operatore locale. Uno slancio che gli costa due giorni ai domiciliari in un albergo di Guayaquil, fino a quando l’aggredito non ritira la sua denuncia.

Nel novembre del 1995 le imprese di Edmundo arrivano fino in Italia. Il brasiliano segna ed esulta. E fa gridare allo scandalo una nazione intera. La Federcalcio esamina i filmati e ci va giù pesante. Quaranta giorni di squalifica per atti volgare in luogo pubblico. Un modo edulcorato per dire che l’attaccante aveva “afferrato con la mano i genitali propri o di alcuni avversari”. Era un modo particolare di esultare. E per deridere quelli che vestivano una maglia diversa dalla sua. Ma è alla Fiorentina che decide di elevare a sistema il suo individualismo. Edmundo non non è convinto della destinazione. Crede che la Viola sia una squadra sottodimensionata rispetto alle sue ambizioni. Alla fine il brasiliano firma il contratto, anche se sarà a disposizione solo a gennaio. Il suo inserimento non procede spedito. Ed è rallentato dall’impegno in Gold Cup. Malesani lo mette in panchina con la promessa di farlo diventare pian piano titolare. Solo che il brasiliano non si aspettava così piano. In 41 giorni mette insieme 10 minuti in Fiorentina-Lazio e 90 in Coppa Italia contro la Juventus. Troppo poco.

L’8 febbraio Malesani programma una doppia seduta di allenamento. Ma di Edmundo non c’è traccia. È volato in Brasile, è volato al Carnevale. E scocca una frecciata dopo l’altra contro la sua squadra. “Non me ne frega niente, ho solo chiesto di giocare. Arrivati a questo punto sono disposto a perdere tutto: soldi, immagine, a rischiare pesanti sanzioni anche dalla Fifa, non mi importa”. Lui vuole solo scendere in campo. E annuncia che, pur di riuscirci, è disposto anche ad appellarsi all’Onu. L’anno successivo le cose vanno addirittura peggio. Durante i Mondiali francesi non riesce a nascondere il suo nervosismo: “Con i viola ho chiuso – dice – a Firenze non ci metto più piede”. Trapattoni lo convince a tornare assicurandogli un posto da titolare. Quando tutto sembra risolto, ecco che dal Brasile arriva una notizia incredibile. Luiz Carlos, il fratello di Edmundo, viene arrestato. Ha rapinato un appartamento, si è portato via un paio di palloni e uno stereo. Un bottino misero che Luiz Carlos è comunque disposto a difendere con tre colpi di pistola.

Una scena drammatica resa grottesca da un dettaglio: la casa svaligiata era quella di Edmundo. Quando il Carnevale si avvicina i tifosi comprano una pagina de La Nazione. Pubblicano lettere e messaggi. E anche qualche poesia. “Non ci lasciare”, implorano. “Ti facciamo noi una scuola di samba, privata”, promettono. Qualcuno gli domanda: “Ma come fa uno che vive a Firenze a farsi prendere dalla saudade?”. Lui sorride e risponde: “Scusate, ma voi avete mai visto Rio?”. A fine anno la separazione dalla Fiorentina è ufficiale. Con reciproca soddisfazione. Edmundo torna al Vasco, poi si trasferisce al Santos. Nel 2001 è ancora Italia. Stavolta al Napoli. Con risultati più che deludenti. Edmundo inizia il suo giro del mondo. Ma si tornerà a parlare di lui qualche tempo dopo. Il brasiliano chiama un piccolo circo per il compleanno del figlio. Fra le foto dell’evento ce n’è una che lascia di sasso. Si vede Edmundo che fa bere una birra chiara a uno scimpanzé. Uno scherzo di cattivo gusto. Normale amministrazione per uno soprannominato O Animal. E che oggi compie mezzo secolo.

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