In questi giorni è stato pubblicato il secondo Rapporto della Commissione Parlamentare Ecomafie, presieduta da Stefano Vignaroli, sulla nota questione dei “gessi rossi”, un rifiuto realizzato mescolando i residui di due diverse produzioni: le marmettole della provincia di Carrara e i fanghi rossi della provincia di Grosseto. La miscela acida di Acido Solforico e di Solfato di Ferro, rifiuto della produzione del Biossido di Titanio nello stabilimento della società Venator Italy Srl (ex Tioxide Europa srl), nel comune di Scarlino (GR), viene neutralizzato con Carbonato di Calcio (CaCO3) e con Idrato di Calcio (Ca(OH2)) proveniente dalle cave di marmo di Carrara e da questa neutralizzazione si origina il rifiuto denominato “gesso rosso”.
Il processo produttivo del biossido di titanio genera enormi quantità di gessi rossi: per ogni tonnellata di prodotto si generano 6 tonnellate di gessi rossi che vanno smaltiti. Nel caso della Venator Italy Srl questi rifiuti sono stati conferiti solo in minima parte nella discarica interna presente a “piè di fabbrica”. A partire dall’anno 2004, la regione Toscana, la provincia di Grosseto, i comuni di Grosseto, Follonica, Gavorrano, Massa Marittima, Montieri, Scarlino, Roccastrada, l’ARPAT, l’ASL n. 9, la società Tioxide Europe srl e le organizzazioni sindacali di categoria hanno sottoscritto un accordo volontario per smaltire i gessi rossi per il ripristino ambientale della cava esaurita di Poggio Speranzona, in località Montioni, nel comune di Follonica (GR). Dai documenti ufficiali risulta che dalla Venator di Scarlino alla cava di Montioni siano partiti circa 70 camion al giorno per conferire circa 200 mila tonnellate annue di gessi rossi nella cava.
Un’altra parte dei gessi, come hanno accertato le indagini dei Carabinieri del NOE di Grosseto, è stata anche sparsa come “emendante” sui terreni delle “Bandite di Scarlino”, un complesso agroforestale di circa 9.000 ettari, ricadenti nei comuni della provincia di Grosseto (Scarlino, Castiglione della Pescaia, Follonica e Gavorrano), ricompreso nel patrimonio indisponibile della regione Toscana e affidato in gestione al comune di Scarlino. Un’altra parte ancora è stata utilizzata in un progetto sperimentale per la copertura di una discarica – che ha però dato risultati negativi – e infine una piccola percentuale è stata utilizzata nei cementifici.
Le condizioni da rispettare per l’utilizzo dei gessi nel ripristino della cava prevedevano il rispetto delle CSC (concentrazione soglia di contaminazione) per i terreni riportate nelle tabelle ministeriali. La Commissione ha visionato tutte le analisi eseguite da ARPA Toscana durante i controlli svolti negli anni sui gessi rossi dall’inizio dell’anno 2007 fino a fine anno 2019 e ha appurato che: “Il rilascio nei terreni di Solfati, Cloruri, Manganese, Nichel, Cromo e Ferro, che possono essere considerate traccianti dei gessi rossi, ha portato nel tempo – per lisciviazione – alla contaminazione delle acque sotterranee monitorate con la rete dei piezometri di controllo intorno alla cava.”
“Sta di fatto – prosegue la Commissione – che ARPA Toscana, pur ponendo in evidenza il superamento dei limiti nell’eluato e nelle CSC per i solfati, i cloruri, il Cromo e il Vanadio, non ha mai proposto alla regione Toscana l’interruzione nel recupero della cava esaurita di Poggio Speranzona. Limiti che, tuttavia, il Legislatore ha successivamente eliminato con gravi conseguenze sulle falde acquifere e sui terreni”. Infatti, spiega la Commissione “è accaduto, dapprima nel 2015 per i cloruri (legge n. 221 del 28-12-2015) e poi successivamente anche nel 2017 per il cromo e il vanadio (decreto dirigenziale n. 2835 del 14 marzo 2017 Regione Toscana), che alcuni di questi limiti siano stati derogati esplicitamente per l’impiego dei gessi rossi nei ripristini e recuperi ambientali”.
“Non si comprende la ragione per cui si continui a consentire tuttora l’apporto di tali rifiuti nella cava, posto che, nonostante le deroghe per il Cromo, il Vanadio e i Cloruri, prosegue incessante il rilascio in falda di Solfati, Manganese, Ferro e altri metalli. […] A questo proposito va considerato che le norme modificate nel 2006, nel 2015 e nel 2017 non riguardano però nessuna deroga sull’inquinamento della falda”. Per i terreni contaminati o le falde contaminate, le CSC non sono mai state derogate e sono tuttora valide. “Pertanto, – prosegue la Commissione – anche se il rifiuto ‘gesso rosso’ rispetta i requisiti per essere impiegato per fare i recuperi ambientali delle ex cave esaurite, […] essi comunque inquinano la falda, e quindi violano la legge sui siti contaminati, superando le CSC della tabella 2 dell’allegato 5 della parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006”.
Due rapporti dalla Commissione Parlamentare Ecomafie (nel 2018 e nel 2021) hanno rilevato che i rifiuti costituiti dai gessi rossi non erano idonei per essere recuperati per ripristinare ex cave esaurite, né per ricoprire discariche e, tantomeno, per essere impiegati come correttivi in agricoltura. Eppure, in nome dell’occupazione e del lavoro, nessuna precauzione pare essere stata messa in atto per prevenire l’inquinamento delle falde prefigurato dalla Commissione.
La Commissione ha stimato che “il risparmio all’anno per l’azienda sui costi di smaltimento è stato di 15.800.000 Euro, che in circa 15 anni di conferimenti corrispondono ad un risparmio di 237.000.000 Euro”. A fronte dei risparmi, quali sono stati gli investimenti dell’azienda in ricerca per individuare processi produttivi meno inquinanti? E quanti posti di lavoro si sono ottenuti sacrificando la salute futura dei cittadini di Follonica e Scarlino?
Quand’è che finalmente si supererà in Italia la logica del “pochi, maledetti e subito” per comprendere che ambiente e lavoro devono andare di pari passo? Non può esserci sviluppo sostenibile se, in nome del profitto di pochi, molti lavoratori devono subire il ricatto occupazionale delle multinazionali, sempre pronte a delocalizzare dove possono sfruttare ed inquinare impunemente.