Cinema

In Italia abolita definitivamente la censura cinematografica, Franceschini: “Lo Stato non potrà più intervenire sulla libertà degli artisti”

L'intervento, ai sensi della Legge Cinema, introduce il sistema di classificazione e supera definitivamente la possibilità di censurare le opere cinematografiche: non è più previsto il divieto assoluto di uscita in sala né di uscita condizionata a tagli o modifiche

di F. Q.

Il ministro della Cultura Dario Franceschini ha abolito la censura cinematografica in Italia. “Definitivamente superato quel sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti”, ha annunciato. Il decreto istituisce inoltra la Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche presso la Direzione Generale Cinema del ministero della Cultura con il compito di verificare la corretta classificazione delle opere cinematografiche da parte degli operatori.

L’intervento, ai sensi della Legge Cinema, introduce il sistema di classificazione e supera definitivamente la possibilità di censurare le opere cinematografiche: non è più previsto il divieto assoluto di uscita in sala né di uscita condizionata a tagli o modifiche. La Commissione è presieduta dal presidente emerito del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno, ed è composta da quarantanove componenti che sono stati scelti tra esperti di comprovata professionalità e competenza nel settore cinematografico e negli aspetti pedagogico-educativi connessi alla tutela dei minori o nella comunicazione sociale, nonché designati dalle associazioni dei genitori e dalle associazioni per la protezione degli animali.

Fu in particolare nel secondo dopoguerra che la censura cinematografica in Italia, sulla base di una legislazione potenziata dal fascismo, mise nel mirino ogni opera non convenzionale, accomunando capolavori a film di modesta levatura. Dalle denunce di tutti i film di Pier Paolo Pasolini fino alla condanna con distruzione delle bobine di “Ultimo tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci, passando per i tagli a “Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti e il sequestro di “Il pap’occhio” di Renzo Arbore:

Amputazioni e rimaneggiamenti forzosi non risparmiarono, tra gli altri, “Gioventù perduta” (1948) e “Il cammino della speranza” (1950) di Pietro Germi, “Fuga in Francia (1948) di Mario Soldati, “Adamo ed Eva” (1950) di Mario Mattoli, “Totò e i re di Roma” (1952) di Steno e Mario Monicelli, “Anni facili” (1953) di Luigi Zampa, “Senso” (1954) di Luchino Visconti, “Totò e Carolina” (1955) di Mario Monicelli, “Le avventure di Giacomo Casanova” (1955) di Steno, “I vinti” (1953) e “Il grido” (1957) di Michelangelo Antonioni, “L’assassino” (1961) di Elio Petri.

Per ottenere il visto subirono tagli pellicole come “Rocco e i suoi fratelli” (1960) di Visconti, “I dolci inganni” (1960) di Alberto Lattuada, “L’avventura” (1960) di Antonioni, “La giornata balorda” (1960) di Mauro Bolognini. Nel 1962, con l’avvio dei governi di centrosinistra, fu varata una riforma che soppresse parecchie limitazioni e circoscrisse l’azione censoria ai film in cui si fosse identificata l’offesa al buon costume. La prudenza dei censori dette tuttavia origine a un nuovo fenomeno. Contro i film approvati dall’apposita commissione del Ministero del Turismo e dello Spettacolo insorsero procuratori, singoli cittadini e associazioni che, appellandosi al codice penale, chiesero il sequestro delle opere ritenute indecenti.

La lista dei film denunciati per offesa alla morale è lunghissima: “Mamma Roma” (1962), “La ricotta” (1963), “Teorema” (1968), “Il Decameron” (1971), “I racconti di Canterbury” (1972), “Salò o le 120 giornate di Sodoma” (1975) di Pasolini, “Blow-up” (1966) di Antonioni, “I diavoli” (1970) di Ken Russell, “Soffio al cuore” (1971) di Louis Malle, “La proprietà non è più un furto” (1973) di Elio Petri, “La grande abbuffata” (1973) di Marco Ferreri, “Novecento” (1976) di Bertolucci, “Il portiere di notte” (1974) e “Al di là del bene e del male” (1977) di Liliana Cavani.

La condanna obbligo a distruggere tutte le copie di “Ultimo tango a Parigi” (1972): il film di Bernardo Bertolucci fu scagionato da una sentenza riparatrice solo nel 1987. A “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pasolini venne negata la nazionalità italiana mentre per “vilipendio della religione di Stato” ebbe luogo il sequestro di “Il pap’occhio” (1980) di Arbore; nel 1998 un capo di imputazione analogo toccò al film “Totò che visse due volte” di Daniele Ciprì e Franco Maresco.

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