Dal quartiere di Palermo, Pagliarelli, al resto d’Italia e poi del mondo. Tutto mantenendo la guida di Cosa nostra, dopo essere subentrato a Settimo Mineo che nel 2018 era stato messo in carcere, fermato mentre ricostituiva la cupola. Ma è la Santa Pasqua da passare in famiglia a spingere il neo capo mandamento di Pagliarelli, Giuseppe Calvaruso, a rientrare in Sicilia. Occasione intercettata dai Carabinieri che lo hanno arrestato all’aeroporto Falcone Borsellino. Un arresto che adesso svela la capacità della mafia palermitana di “allargare” i propri affari. E traccia un percorso intercontinentale. Palermo, Riccione, Singapore e Natal: sono questi i punti della mappa ripercorsi da Calvaruso. Bisogna andare a ritroso, cominciando dall’ultima destinazione: Natal, nella costa atlantica del Brasile, dove il nuovo boss risiedeva dal settembre del 2019. Giuseppe Calvaruso, 44 anni, aveva ereditato la guida del mandamento chiave per la gestione del potere di Cosa nostra a Palermo. E attraverso una rete internazionale intendeva espandere gli affari mafiosi. Per questo risiedeva da tempo in Brasile, dal quale è rientrato per qualche giorno proprio ieri, quando alle 14 è stato arrestato dai carabinieri di Palermo su impulso della procura, assieme a Giovanni Caruso, Silvestre Maniscalco, Francesco Paolo Bagnasco e Giovanni Spanò, accusati di associazione di tipo mafioso, estorsione consumata e tentata, lesioni personali, sequestro di persona, fittizia intestazione di beni, tutti reati aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose. Un’indubbia caratura mafiosa, questo emerge dalle indagini del Nucleo investigativo dei Carabinieri, coordinate dall’aggiunto della procura di Palermo Stefano De Luca e dai pm Federica La Chioma e Dario Scaletta. Nelle carte delle indagini anche alcune intercettazioni che svelano come Calvaruso considerasse i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano ancora al comando del quartiere di Brancaccio. Nonostante il fine pena mai. “Questi moriranno in galera, perché hanno ucciso un santo”.

L’excursus mafioso del nuovo boss – Un percorso in ascesa iniziato già tra il 1999 e il 2000, quando Calvaruso, ancora ventenne, era considerato uno dei principali favoreggiatori della latitanza di Giovanni Motisi. Diventava latitante anche lui, dopo l’ordine di arresto al quale era riuscito a sfuggire nel giugno del 2002, per poi venire rintracciato il settembre successivo all’interno di un’abitazione a Monreale. Condannato a 4 anni di reclusione, veniva scarcerato nel maggio del 2006, poi di nuovo arrestato nel 2008 e ancora scarcerato nel luglio del 2014. Da questo momento scattava per lui la sorveglianza speciale per la quale però aveva già pronto un piano: trasferirsi a Riccione. Grazie al cambio di residenza in Emilia Romagna, infatti, terminava la misura cautelare, e riprendeva a circolare liberamente nel territorio nazionale. Faceva così rientro a Palermo, dalla quale però sarebbe partito per la città brasiliana, per farci ritorno a gennaio del 2020 fino a prima del lockdown. E poi ancora ieri, dopo un anno in Brasile. Un excursus segnato da una serie di episodi che, tra il ‘99 e oggi, ne svelano il potere di condizionamento sul territorio tra attività lecite e illecite. Dai lavori edili controllati attraverso la società Edil Professionals srls, alla ristorazione: era titolare di fatto del noto ristorante Carlo V, che occupa una delle piazze più belle del centro storico di Palermo, ovvero Piazza Bologni. Tutto mentre come da rigoroso codice di Cosa Nostra, garantiva il sostentamento delle famiglie dei detenuti appartenenti a Cosa Nostra. E non solo il sostentamento, ad uno di questi veniva garantito attraverso i “favori” di una escort venuta dal nord Italia: un ristoro per chi dal carcere usciva dopo diversi anni.

Un controllo del territorio totalmente parallelo allo Stato esercitato grazie alla “protezione”, che si declinava in “punizioni” di furti non autorizzati. Serviva anche la sua approvazione per le aperture di esercizi commerciali. Il tutto a fronte di una capacità di espansione oltre i confini regionali e nazionali. Secondo la procura di Palermo, guidata da Francesco Lo Voi, Calvaruso e il suo alter ego Caruso, vantano “numerosi contatti con persone stabilmente residenti in altre parti dell’Italia (Emilia Romagna) e all’estero (Tunisia, Emirati Arabi Uniti, Brasile) che sarebbero in grado di offrire loro rifugio”, così scrivono i pm nella richiesta di fermo. E continuano: “Non si dimentichi infatti che il Calvaruso ed il Caruso hanno stabili contatti con imprenditori sparsi sul territorio italiano ed hanno mostrato di essere in grado di spendere la propria capacità imprenditoriale anche all’estero, dove vi sarebbero senz’altro soggetti di loro conoscenza in grado di fornire ospitalità ai sodali”.

L’autorizzazione al bar Wisser – Carlo Cicala, titolare del vecchio bar Wisser, in via Tricomi, nel villaggio di Santa Rosalia, voleva rinnovare il suo locale ed espanderlo. Per questo aveva dovuto chiedere l’autorizzazione a Settimo Mineo, Giuseppe Calvaruso e Salvatore Sorrentino. Un locale più grande, che integrasse un’area ristorante e dedita alla rivendita di preparati alimentari da asporto, pane e prodotti ortofrutticoli. Cicala ottenne l’approvazione e ai lavori di ampliamento ai quali, manco a dirlo, presenziò personalmente Calvaruso, tra la primavera e l’estate del 2016, dal momento che erano stati affidati alla ditta di cui risulta referente reale, ovvero la Edil Professional. Questo solo uno degli episodi che, secondo gli inquirenti, dimostrano un “sistematico ricorso di commercianti, imprenditori e semplici cittadini all’organizzazione mafiosa operante sul territorio di Pagliarelli volto all’ottenimento di autorizzazioni all’apertura di attività commerciali o di una risposta alle istanze di giustizia mosse a fronte di condotte lesive dei loro diritti; l’organizzazione dunque reagiva prontamente, assumendo una patologica funzione supplente rispetto alle legittime istituzioni dello Stato. Tali meccanismi dimostravano in tutta la loro gravità l’esistenza sul territorio di Pagliarelli di un contesto socio – ambientale gravemente compromesso dalla connivenza con la cultura mafiosa, ancora in grado di condizionare larghe sacche della popolazione palermitana”.

Il pesce da portare in carcere – Dal 2019 poi, Calvaruso, aveva preso in mano le redini del mandamento, dovendo quindi occuparsi del mantenimento dei detenuti. “Perché quando fa il colloquio glieli devo dare almeno mille euro? Mil … minimo! Però aspetta, ho lavorato o non ho lavorato (…inc…) pure che per dire dice “questa settimana liscio” … sempreee!”. Così a settembre del 2019, parla Caruso, che gestisce i pagamenti per conto del capo mandamento, pagamenti che devono avvenire, dunque, sempre, a prescindere da come vadano gli affari del gruppo quella settimana. I detenuti, poi, vanno mantenuti in vari modi. Perfino facendo recapitare loro cibo prelibato direttamente in carcere. Così avviene quando la moglie di Giovanni Cancemi, Orsolina Priolo, l’11 novembre del 2019, porta in carcere al marito, il cibo già cotto. Calamari, gamberetti e agnello. Tutti acquistato direttamente da Calvaruso e poi consegnati alla moglie: “Permettendogli di ostentare – scrivono i pm – una certa agiatezza agli occhi degli altri detenuti, adeguata al proprio rango criminale non certo da detenuto comune”.

“Cammina, prima che diventi scolapasta” – Un controllo esercitato anche con ferocia. Nell’autunno del 2019, per esempio, i punti vendita “Serena detersivi” subivano due furti. Per questo il titolare Francesco Paolo Bagnasco si rivolgeva al sodalizio mafioso per ottenere giustizia. Prima di tutto consegnando una ripresa delle telecamere dei negozi che avrebbe aiutato il gruppo ad individuare i responsabili. Così effettivamente succedeva e Caruso avrebbe avvertito in seguito Bagnasco di avere “i pannelli”. I responsabili venivano sequestrati e portati all’interno del garage Tony Parking, in via Piave, dove venivano trattenuti fino all’arrivo dell’ideatore delle rapine, Giovanni Armanno che veniva pestato a sangue alla presenza di Calvaruso. Caruso se ne vanta in seguito raccontando il pestaggio nei particolari, e come con la pistola (il cavallo) in mano avesse minacciato Armanno che altrimenti sarebbe stato crivellato di colpi, diventando uno “scolapasta” e così si fosse “scaricato”, rilassandosi: “Minchia mi sono rilassato questa giornata! / minchia mi sono dato una scarricata che tu non hai idea!”. E più in là nella conversazione, i toni autocelebrativi di Caruso si infiammano: “Minchia quello … gli telefono a quello, all’altro … dice: “ma che fa vengo con il cavallo?” … ci dissi: “sì, andiamocene con il cavallo” … /“minchia appena è entrato … l’ho preso (testuale: scucchiavu) … gliel’ho messo qua ci dissi: “cammina” … “eh!” … “cammina”. / “prima che diventi scolapasta!” … minchia quello: “il lungo! … il lungo!” … “che fa?”… “all’ospedale … è ricoverato!”.

L’uomo di Singapore – “L’Italia è un Paese strano…”. Così parla Lai Chong Meng, detto Alan, imprenditore di Singapore. E la stranezza del Paese lo convince a non intestarsi beni e imprese società. Riesce lo stesso ad investire, grazie a Calvaruso, che riesce ad agganciare Alan, tramite Giovanni Spanò e Salvatore Catalano. Quest’ultimo originario del villaggio di Santa Rosalia è da anni residente a Singapore e lavora come general manager nella Trattoria Amanda, ristorante italiano con sede a Singapore, di proprietà di Lai Chong Meng. Così il 2 luglio del 2019, Calvaruso e Giuseppe Amato, partono per Singapore, per fare ritorno appena 9 giorni dopo. Dopo il viaggio, Calvaruso è convinto che le prospettive di guadagno siano alte. Alan era, infatti, interessato a comprare ville antiche, da ristrutturare e rivendere. Così il mandamento di Pagliarelli si mette a disposizione dell’imprenditore orientale per l’acquisto e per la ristrutturazione degli immobili, 4 in tutto, acquistati tra il 2018 e il 2020. Salvatore Catalano e Giuseppe Spanò fanno da tramite agli affari di Alan ed entrano di fatto in rapporti economici con Calvaruso. Per questo temono di venire interrogati e concordano versioni da dare. Questo perlomeno emerge da un’intercettazione, nella quale è chiaro che sono al corrente della mappatura mafiosa della città.

Ma chi comanda a Brancaccio? – La mappatura mafiosa e ben ricostruita dai due. Durante una conversazione intercettata dai Carabinieri di Palermo, il 14 settembre del 2019, Catalano chiedeva innanzitutto a Spanò chi fosse l’attuale capomafia del posto: “Ma chi comanda a Brancaccio?”. “Spanò, dimostrando di conoscere bene gli assetti territoriali mafiosi palermitani, rispondeva che al comando vi era un soggetto soprannominato “u Ciolla”, cugino dei fratelli Graviano: “Gli dicono “u Ciolla””; “”u Ciolla” gli dicono”; “sempre! E questo è il cugino!””. Gli investigatori spiegano che il cugino dei Graviano è Antonio Lo Nigro, pregiudicato per mafia. A quel punto “Spanò puntualizzava che il potere era comunque sempre esercitato dai fratelli Graviano tramite tale loro cugino”. E a proposito dei fratelli che custodiscono i segreti delle stragi del 1992 e 1993, colpisce il botta e risposta tra Catalano, che esordisce, e Spanò, che ribatte: “Loro in galera muoiono” Si! Quelli si. Si – minchia, hanno ammazzato un Santo, hanno ammazzato”. Il riferimento è al sacerdote Pino Puglisi, assassinato da Gaspare Spatuzza, che poi ha deciso di collaborare con la giustizia. I due ricostruiscono la storia. “Lo sai chi è il Santo? Padre Puglisi – Minchia, Santo lo hanno fatto! – e certo che lo hanno fatto Santo! – però quello che lo ha ammazzato è pentito.- ma Santo di che? Ha fatto miracoli? Una volta ti facevano Santo quando facevano i miracoli le persone.- che ne so! – G.: questo miracoli non ne ha fatti! – dice lo ha fatto, lo hanno pregato. – questo era uno che… – ma quello che lo ha ammazzato s’è pentito. – pentito si è fatto. Il cacciatore. Minchia, questo in galera s’annacava (ndr, si dava arie). Minchia pareva Totò …(incomprensibile)… a cavallo. Una mattinata: “Ma dov’è? Dov’è?”. “Boh?”. Dice: “Forse l’hanno trasferito di notte a notte!”. Minchia, dopo due giorni ci fu un colloquio, in galera si cominciò a sapere che la famiglia non c’era più a casa. “Minchia” dice. “Qua è” e cominciarono a dire “Qua abbiamo l’altro processo”. Una conversazione che restituisce anche un giudizio di Spanò trachant sul precedente capo mandamento, Settimo Mineo, reo di tirchieria: “…quest’uomo… di una viscidità, tu non ne hai idea questo che era… un caffè non te lo offriva, un mendicante di uomo! Non è sposato, non ha figli e… malazionario (ndr, malvagio) con le persone da morire! Voleva sempre… attaccato al denaro, che schifo! Ora quella… la mafia non è più quella di una volta, la verità è! Prima le persone si aiutavano, invece questi li sdirrubano (ndr, li rovinano)”.

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