La denuncia del medico al quale era stato fissato l'appuntamento per il giorno di festa. "Da quasi due mesi avevano fissato il richiamo per il 4 di Aprile. Arrivati lì abbiamo scoperto che il centro era chiuso. Oggi sono tornato e alla fine me lo hanno fatto, ma ancora oggi non so cosa sia successo e quanti ne siano stati rinviati". Ma non è possibile saperlo: nella disorganizzazione complessiva si scopre che il più grande e famoso ospizio d'Italia da due mesi non ha un ufficio che risponda alle domande dei giornalisti
Hanno fatto scandalo le code al Niguarda per i vaccini, costate le dimissioni del cda di Aria. Sorprende però anche il deserto al Pio Albergo Trivulzio in cui si sono ritrovati i medici per il richiamo: convocati a Pasqua soli dietro un cancello chiuso con comprensibile sconcerto. “Domenica sono andato lì avendo in agenda l’appuntamento per la seconda dose, fissato alle 12:50. I cancelli di Via Bezzi erano chiusi e in portineria mi hanno detto che tutto il giorno il centro vaccinale sarebbe stato chiuso. Ho iniziato a chiamare Ats ma un’ora di attesa non è bastata, e come altri sono dovuto tornare a casa senza neppure una spiegazione”.
E’ il racconto di un medico milanese che ha impiegato 24 ore per venire a capo di un giallo: come vaccinarsi anche avendo l’appuntamento in mano. E non in un centro vaccinale qualsiasi ma al Pio Albergo Trivulzio, la casa di riposo più famosa d’Italia. Nella pandemia è assurta ad hub metropolitano per lo smistamento dei pazienti Covid nelle Rsa, il primo grande ospizio del Nord finito sotto inchiesta per i contagi (il dg indagato a gennaio). Quello su cui Letizia Moratti ha poi scaricato la grana dei “baroni” degli atenei milanesi da vaccinare per primi, scalzando gli anziani: docenti universitari, ricercatori, assistenti. Poi però a chi deve vaccinarsi all’ex “Baggina” capita di restare davanti al cancello, l’appuntamento in mano.
E’ successo ad Antonio Pappagallo, ortodonzista milanese e ad altri medici che a Pasqua si sono presentati, puntuali per la seconda dose Pfizer. Della seconda dose, come tutti i medici, aveva bisogno perché la copertura vaccinale è un requisito di legge per poter esercitare. “Senza – racconta – non sarei potuto tornare a lavorare in studio lasciando a mia volta a piedi i pazienti”. Per 24 ore, come altri in lista, resta in balia dell’incertezza totale, risolta l’indomani solo grazie a un custode comprensivo. Ecco il suo racconto.
“La prima dose me l’avevano fatta domenica 14 marzo e quando mi hanno dato l’appuntamento ho visto che cadeva il giorno di Pasqua ma mi è stato detto di non preoccuparmi che il centro avrebbe lavorato come sempre. Una volta arrivato lì, domenica, ho scoperto che non era così. Ho vagato quasi un’ora per avere spiegazioni finché il portinaio mi ha suggerito di telefonare l’indomani per tentare di recuperare il vaccino. Uscendo incrocio un altro medico e scopriamo che gli appuntamenti erano fissati ogni 10 minuti e ci siamo chiesti quanti quel giorno sarebbero saltati”.
Il giorno successivo, cioè oggi 5 aprile, Pappagallo torna in via Bezzi alle 9:15 e riparte la caccia. “Il centro stavolta è aperto ma all’accettazione mi chiedono se ho più di 80 anni e se insegno all’università. Gli ho dovuto fornire da capo i miei dati spiegando che avevo già detto più e più volte che sono un medico e non un docente. Mi rispondono che era il giorno degli universitari, poi alla fine hanno trovato il tempo di vaccinarmi ma ancora mi chiedo come sia possibile oggi, con tutti gli impegni dei politici lombardi che leggo sui giornali, ritrovarsi con la prenotazione in mano, all’ora giusta nel posto giusto e dover tornare a casa senza sapere nulla”. Non è stato possibile sapere dal Trivulzio a quanti è toccata questa sorte perché nonostante il ruolo dell’ente pubblico nella pandemia, coi pazienti Covid ricoverati nonché il ruolo di hub vaccinale, l’amministrazione ha pensato bene di rimanere senza un ufficio stampa che possa fornire notizie ai giornalisti. Il ruolo è vacante da metà febbraio e non c’è un bando aperto per la ricerca di personale. Così la linea, fatalmente, è quella del silenzio.