Si è tenuta al Cairo l’ennesima udienza sul rinnovo della custodia cautelare in carcere per Patrick Zaki, lo studente 29enne dell’Università di Bologna da oltre un anno dietro le sbarre in Egitto, nella prigione di Tora. I legali sono tornati a ribadirne il rilascio immediato e hanno chiesto di sostituire i giudici che decidono sulla sua custodia cautelare “dopo aver constatato i numerosi rinnovi della sua carcerazione” e “domani o dopodomani” si saprà se questa richiesta sarà accettata. Ma quello che i suoi difensori hanno sottolineato, per voce di una di loro, Hoda Nasrallah, è che Zaki si trova in “pessimo stato psicologico”.
A differenza di quanto anticipato in un primo momento, poi, i diplomatici di Italia, Francia, Canada e Stati Uniti – che di solito per le udienze di Zaki sono in aula – non sono stati fatti entrare dalla polizia, ma i motivi non sono noti. “Vi sono stati problemi per la partecipazione degli stranieri anche dopo l’approvazione da parte del giudice a causa di un rifiuto della polizia”, si è limitata a dire la legale riferendosi quindi anche ai diplomatici che comunque hanno depositato, come di consueto, comunicazioni scritte per esprimere l’interessamento al caso giudiziario di Patrick. Nasrallah ha poi lasciato intendere che il team legale di Zaki vede nei continui rinnovi un ingiustificato accanimento giudiziario. E ritiene che, a meno che non venga sostituito il collegio giudicante, è difficile che la corte decida per la sua scarcerazione.
Il 29enne era stato arrestato in circostanze controverse il 7 febbraio 2020 e la custodia cautelare in Egitto può durare due anni. Dopo una prima fase di cinque mesi di rinnovi quindicinali ritardati dall’emergenza Covid, ora il caso di Patrick è in quella dei prolungamenti di 45 giorni. Il ricercatore, attivista per i diritti umani, che a Bologna seguiva un master europeo, è accusato fra l’altro di propaganda sovversiva e istigazione al terrorismo sulla base di alcuni post su Facebook da un account che secondo i suoi legali non è il suo. Rischia 25 anni di carcere.
“Come sempre le sensazioni nel giorno dell’udienza sono contrastati – dice all’Ansa Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia -. C’è la speranza che 14 mesi di detenzione possano bastare per giudicare Patrick innocente. C’è la sensazione di una imprevedibilità delle decisioni da parte della magistratura egiziana e c’è l’attesa, come sempre, di conoscere l’esito che come spesso accade non sarà contemporaneo alla fine dell’udienza. La speranza è sempre viva”.