Nei giorni in cui riprende il processo contro Benjamin Netanyahu, il presidente israeliano, Reuven Rivlin, ha annunciato di aver nuovamente affidato a lui l’incarico di formare un governo, pur esprimendo la convinzione che “nessun candidato abbia una reale opportunità” di mettere a punto un esecutivo. “Non è stata una decisione facile”, ha aggiunto Rivlin riferendosi al fatto che Netanyahu sia sotto processo per corruzione, frode e abuso di potere in tre distinte inchieste giudiziarie. Il presidente ha parlato alla Knesset nel giorno dell’insediamento dopo il voto e ha esortato le “quattro tribù di Israele, laici, religiosi, ortodossi e arabi” a trovare un accordo. A differenza del marzo 2020, in piena prima ondata covid, questa volta il giuramento del plenum non è avvenuto con il distanziamento sociale visto il successo della campagna vaccinale. La Knesset insediatasi oggi potrebbe però essere destinata a breve vita e terminare in estate se – come molti segnali indicano – non si riuscisse a formare un governo e venissero indette quinte elezioni.
Rivlin: “I motivi della mia decisione” – “So la posizione di molti, cioè che il presidente non dovrebbe dare l’incarico ad un candidato che sta affrontando accuse penali – ha detto nel suo discorso Rivlin – ma secondo la legge e le decisioni dei giudici, un primo ministro può continuare a svolgere il suo incarico anche mentre è sotto processo”. “Il presidente di Israele non può sostituirsi al Parlamento o alla magistratura”, ha aggiunto Rivlin, ricordando come la questione dell’incarico ad un candidato sotto processo sia stata al centro della campagna elettorale. “In questa situazione ed in assenza di altre opzioni – ha concluso – ho preso la decisione, in accordo con la mappa delle consultazioni che indica che vi sia una leggera maggiore possibilità che Netanyahu formi il governo”. Nelle consultazioni, Netanyahu ha infatti ricevuto l’appoggio di 52 dei 120 membri della Knesset uscita dalle ultime elezioni, le quarte in meno di due anni che non hanno risolto la frammentazione politica del Paese. Per questo Rivlin ha detto di aver dovuto scegliere in base alle indicazioni dei partiti che hanno dato a Netanyahu più seggi rispetto agli altri e che ha più chance.
L’esito delle urne – Israele è uscito dalle elezioni di marzo – le quarte in due anni – senza una maggioranza chiara. Tutto resta appeso a quello che farà Naftali Bennett, leader di destra, che con i suoi 8 seggi è in grado di portare il premier più vicino a formare una maggioranza di 61 seggi su 120 alla Knesset. Ma ha detto di voler prendere tempo. Malgrado il successo della campagna vaccinale, Netanyahu non ha sfondato a livello di coalizione. Infatti, il fronte eterogeneo anti-premier ha raggiunto i 59 seggi (due in meno dei 61 necessari per la maggioranza alla Knesset) mentre il blocco del premier (Likud, partiti religiosi e sionisti religiosi) senza Bennett, si ferma a 54. Al secondo posto nella graduatoria dei partiti c’è il centrista Yair Lapid con 16 seggi, mentre il suo ex alleato Benny Gantz risale fino a 8 seggi. Sorpresa dei Laburisti e anche di Gantz ma anche, a destra, dei sionisti religiosi di Smotrich e Ben Gvir. Il voto è stato contraddistinto dalla più bassa affluenza dal 2009: il definitivo è di 67,2%, circa il 5% meno dello scorso marzo. E sembra riguardare soprattutto il settore degli arabo-israeliani: pare abbia registrato un circa 10% in meno.