Il 9 marzo scorso, lo stesso giorno in cui la Guardia di Finanza arresta l'ormai ex sindaco di San Vincenzo (si è dimesso nei giorni scorsi), Alessandro Bandini, esponente del Pd, accusato di essersi fatto corrompere da due imprenditore locali, durante alcune perquisizioni viene trovato il tesoretto di Ivano Giannini, 74 anni, tesoriere dem a San Vincenzo, presidente della bocciofila cittadina. I pm indagano per capire quale sia l'origine di Rolex e soldi. Il legale: "Il possesso ingiustificato di valori non è più reato dal 1996. Ecco perché deve essere la procura a dimostrare l'illiceità di quel denaro"
Una cassetta di sicurezza che contiene quattro Rolex e 300mila euro in contanti. Proprietario: un pensionato di un piccolo comune toscano, presidente della bocciofila cittadina e tesoriere del Pd. Come fa ad avere messo da parte tutto quel denaro? C’entra niente il suo incarico di tesoriere della locale sezione del Partito democratico? È il rebus che sta cercando di risolvere la procura di Livorno, come racconta l’edizione locale del Tirreno. Che si è imbattuta in quel tesoretto durante le perquisizioni ordinate il 9 marzo scorso. Quel giorno la Guardia di Finanza arresta l’ormai ex sindaco di San Vincenzo (si è dimesso nei giorni scorsi), Alessandro Bandini, esponente del Pd, accusato di essersi fatto corrompere da due imprenditore locali.
Nelle stesse ore gli investigatori della Fiamme gialle vanno a perquisire le case di una ventina di indagati. Tra questi c’è anche Ivano Giannini, 74 anni, tesoriere del Pd a San Vincenzo dal 16 giugno 2017, presidente della bocciofila cittadina e suocero di Dario Ginanneschi, capogruppo in consiglio comunale ed ex segretario cittadino dei dem. È indagato per favoreggiamento perché “avrebbe concordato con Bandini alcune dichiarazioni rese agli investigatori sull’area feste”, una delle pratiche al centro dell’inchiesta. Durante la perquisizione a domanda specifica degli investigatori dichiara di essere titolare di una cassetta di sicurezza depositata alla filiale di San Vincenzo della Banca di Credito Cooperativo.
È in quella cassetta di sicurezza che gli investigatori trovano i Rolex e i 300mila euro, subito sottoposti a sequestro. Come ha fatto Giannini ad accumulare tanta ricchezza? Da dove provengono quei soldi? Su questa domanda si basa l’indagine coordinata dal pubblico ministero Massimo Mannucci. L’ipotesi degli inquirenti è che quel tesoretto sia legato al presunto sistema illecito creato all’interno del comune. Secondo il quotidiano livornese nei giorni scorsi si è recato dagli investigatori un imprenditore locale – Fulvietto Pierangelini, figlio dello chef stellato Fulvio, e titolare del bagno Il Bucaniere – sostenendo di essere il legittimo proprietario dei soldi e dei Rolex. Ma perché allora metterli in una cassetta di sicurezza – aperta una decina di anni fa – intestata a un terza persona? “Pur essendo estraneo ai fatti di questa vicenda mi è stato consigliato dai miei avvocati di non rilasciare dichiarazioni”, dice l’imprenditore al Tirreno. Di sicuro c’è che l’avvocato di Giannini, Giacomo Giribaldi, ha chiesto al giudice il dissequestro del denaro e dei Rolex: istanza rigettata. Da dove provengono quei soldi? Il legale non lo dice: “Il possesso ingiustificato di valori non è più reato dal 1996. Ecco perché deve essere la procura a dimostrare l’illiceità di quel denaro”.