L’ingresso di Florentino Pérez Rodriguez nella partita Autostrade è un vero colpo di scena. Finora, infatti, gli industriali veneti hanno sostenuto che in circolazione non c’era proprio nessuno interessato ad acquistare Aspi. Così la notizia che Pérez sia disposto a mettere mano al portafoglio per creare un gruppo paneuropeo ha destato non pochi interrogativi fra gli investitori. Nella comunità finanziaria internazionale c’è infatti chi sostiene che Pérez voglia sfilare Aspi ai Benetton. E chi, invece, ritiene che il miliardario sia una sorta di asso nella manica degli industriali veneti per convincere Cdp a ritoccare al rialzo l’offerta per l’88% di Aspi. Difficile dire quale delle due versioni sia quella giusta. Ma è certo che Pérez è una vecchia conoscenza per i Benetton che con lui sono scesi a patti nel 2018 per la conquista di Abertis diventandone anche soci in affari nella newco che controlla la società spagnola.

Pérez del resto non è un industriale qualsiasi. La sua fama internazionale è sostanzialmente legata al ruolo di presidente della squadra di calcio del Real Madrid. Ma in realtà il magnate spagnolo è uno degli uomini più ricchi ed influenti del Paese. Ricco perché ha una fortuna che la rivista statunitense Forbes stima pari a 2,2 miliardi di dollari. Una ricchezza costruita attorno al gruppo di costruzioni ACS, Actividades de Construcción y Servicios. Influenti perché nel suo passato c’è una carriera politica di tutto rispetto: alla fine degli anni ’70 militava nell’Unione di centro democratico (Udc) prima di passare al Partito riformista democratico di cui è stato segretario generale. La formazione non ottenne però alcun seggio alle elezioni del 1986. Così si dissolse poco dopo assieme alle ambizioni politiche di Pérez che decise di dedicarsi agli affari. Con un certo successo come testimonia il fatto che oggi, nella classifica mondiale dei paperoni, l’industriale si piazza in posizione 1517. In Spagna si narra però che i soldi non gli interessino quanto il potere. “Non ho mai lavorato per fare soldi, perché non so come godermeli. Il denaro che c’è nella borsa un giorno sale e un altro va giù, è difficile sapere quanto ho” ammise in un’intervista all’edizione spagnola di Business insider di qualche anno fa.

Terzo di cinque figli di un’ordinaria famiglia borghese, Perez, classe 1947, è l’esempio del self-made man in versione spagnola. Ha studiato ingegneria civile al Politecnico di Madrid. Poi ha tentato l’avventura politica ed infine si è dedicato agli affari. Il salto di qualità è arrivato alla fine degli anni ’90 quando è diventato vicepresidente di OCP Construcciones che si è poi fusa con la rivale Ocisa per trasformarsi in ACS, un’azienda da quasi 35 miliardi di fatturato, 1,4 miliardi di profitti e oltre 179mila dipendenti. Un gruppo che Pérez controlla attraverso la cassaforte Inversiones Vesan, il maggior socio di Acs con il 12, 68% del capitale.

Nel suo percorso da capitano d’impresa c’è però una macchia non di poco conto: il fallimentare progetto Castor, il mega deposito di gas che la Commissione europea e il governo Zapatero volevano realizzare al largo del golfo di Valencia. ACS, di cui Pérez è presidente, era in prima linea nel progetto che venne immediatamente abbandonato quando le manovre di immagazzinamento offshore generarono oltre 400 scosse sismiche. Scosse che però non intaccarono l’impero del magnate cui corse subito in aiuto lo Stato spagnolo risarcendo per circa 1,35 miliardi le banche finanziatrici del progetto. “Pérez non perde mai” sintetizzò all’epoca dei fatti il sito elcierredigital.com. Ma lui si difese in parlamento, raccontando di aver perso un sacco di soldi. “Sembra che io sia un demonio. Dicono che hanno dato a Florentino 3,2 miliardi? Non mi hanno dato un centesimo. Tutto il denaro (pubblico, ndr) è andato ai finanziatori, agli obbligazionisti e alla Banca europea per gli investimenti. Qui abbiamo perso soldi” riferì il miliardario al El periodico.com nel giugno del 2019. Gli ambientalisti spagnoli però ancora oggi non la pensano così. Lo accusano di fare l’imprenditore scaricando parte dei rischi sullo Stato. Una storia che non è certo un bel biglietto da visita per un potenziale acquirente di Autostrade per l’Italia.

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