Dal 7 al 12 aprile 1971 alcuni intellettuali e attivisti rom di tutta Europa si incontrarono a Chelsfield, vicino Londra, in un congresso internazionale per riflettere sulla condizione delle rispettive comunità. L’appuntamento si replicò negli anni successivi e nel 1990, durante il quarto congresso, si stabilì, con il riconoscimento dell’Onu, di designare l’8 aprile come la Giornata Internazionale dedicata ai rom e ai sinti. In Italia solo negli ultimi anni la Giornata ha trovato modi e forme di celebrazione, dentro e fuori le comunità.
Nel nostro Paese l’avversione nei confronti di tali comunità è particolarmente sentita – secondo un’inchiesta condotta nel 2014 dal Pew Research Center in Francia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Regno Unito e Spagna, il nostro è il Paese nel quale la maggior parte delle persone manifesta un’idea negativa o ostile verso i rom – e si fatica a dare spazio a riflessioni e analisi su un contesto discriminato anche perché poco conosciuto. A partire dai numeri.
Quanti sono i rom e i sinti in Europa e in Italia è impossibile saperlo. E questo per diverse ragioni. In molti Paesi è impossibile svolgere censimenti su base etnica e dove questi avvengono il rischio della stigmatizzazione spinge intere comunità a nascondere la propria identità. Di contro i numeri lievitano ogni anno nei discorsi dei movimenti di rivendicazione identitaria, nei documenti di enti e agenzie governative dedicate alla questione, nelle richieste delle associazioni di volontariato per l’accesso a fondi pubblici e privati.
Secondo la pubblicazione del Consiglio d’Europa Number of Roma and Travellers in Europe del 2008 – testo ripreso in Italia dalla Strategia Nazionale per l’inclusione dei rom, dei sinti e dei caminanti il più importante documento governativo in materia – in Italia sarebbero stanziati tra i 170.000 e i 180.000 rom e sinti. Seguendo il naturale andamento demografico tali cifre dovrebbero oggi raggiungere e superare le 200.000! Un numero, come spesso accade, privo di una fonte e di evidenza scientifica, buttato lì e destinato anno per anno a moltiplicarsi. Seguendo questa tendenza è sempre la Strategia Nazionale ad indicare in 40.000 il numero dei rom presenti nei “campi nomadi” italiani. Cifra questa ripresa in tutti i documenti ufficiali di diverse amministrazioni tra le quali il Comune di Roma. Anche stavolta senza alcuna fonte su base scientifica.
Da ormai cinque anni Associazione 21 luglio presenta in Senato il Rapporto annuale che fotografa numeri e condizione delle comunità rom e sinte in emergenza abitativa, basandosi su sistemi di monitoraggio sempre più affinati. Premesso che è impossibile oggi quantificare la presenza sul territorio nazionale di queste comunità perché in Italia un censimento etnico non è consentito – e comunque, anche se effettuato, non permetterebbe l’acquisizione di un quadro certo – è invece possibile definire dove e quanti sono i rom e i sinti (o almeno le persone identificate come tali dalle istituzioni) negli insediamenti monoetnici denominati “campi rom”.
Nell’ultimo anno sono state circa 18.000, 2.000 in meno del 2019, con una tendenza che registra ormai un calo nell’ultimo quinquennio. Di essi circa 11.500 vivono in 111 insediamenti formali presenti in una sessantina di Comuni italiani e poco meno di 7.000 in insediamenti informali, per lo più micro insediamenti realizzati dagli stessi abitanti. Nei primi, quelli progettati, costruiti e gestiti dalle istituzioni, la metà dei cittadini ha la cittadinanza italiana. In quelli informali, invece, si tratta per la stragrande maggioranza di cittadini rumeni. Altri studi ci dicono che l’aspettativa di vita è di 10 anni inferiore rispetto alla media italiana, il livello di scolarizzazione estremamente basso, l’occupazione quasi tutta di tipo informale.
C’è poi la questione legata all’assenza cronica di documenti da parte dei cittadini provenienti negli anni Novanta dall’ex Jugoslavia. Anche su questo sino a qualche mese fa i numeri dei cosiddetti “apolidi di fatto” era fissato, anche stavolta in assenza di fonti, tra le 15.000 e le 25.000 unità per i soli minori. Con la ricerca “Fantasmi urbani” sempre curata da Associazione 21 luglio utilizzando un campione di 2.200 soggetti intervistati, si sono mesi i piedi per terra e tale valore si è ridotto sotto la soglia delle 500 unità!
È innegabile, siamo il Paese che più nutre avversione verso i rom. Forse basterebbe iniziare a mettere in ordine i numeri per ridimensionare non solo loro, ma anche e soprattutto fobie e ansie. E iniziare a celebrare anche la Giornata Internazionale dei rom e dei sinti, sapendo anche di quali e quanti soggetti parliamo.