Martedì scorso, Charles Michel e Ursula von der Leyen sono andati a trovare Erdogan, su mandato del Consiglio Europeo del 25 marzo, che li ha incaricati di cercare un riavvicinamento condizionato con Erdogan. Hanno discusso per varie ore di temi spinosi, come la migrazione ma anche e soprattutto il rilancio della Unione doganale e dei visti per i turchi, che nel 2016 dovevano essere il complemento dei 6 miliardi di euro concessi alla Turchia per tenersi i migranti e candidati rifugiati siriani e Afghani e che ora Erdogan pretende di “riscuotere”, insieme a un nuovo finanziamento (si parla di una somma di 2,5 miliardi di euro in tre anni).
Nonostante una certa diminuzione della tensione in particolare nel Mediterraneo, il contesto delle relazioni con la Turchia rimane nefasto; la scommessa di Michel e von der Leyen – che pare non si amino per nulla e abbiano entrambi ambizioni in politica estera, ma poco spazio di manovra – era dunque già difficile in partenza, a causa delle azioni una più inaccettabile dell’altra di Erdogan, le divisioni profonde fra gli Stati membri e allo stesso tempo l’interesse di tutti di non rischiare di perdere l’accordo sui migranti.
In questo contesto, la trappola protocollare nella quale soprattutto Charles Michel, l’arrogante e un po’ viziato figlio d’arte (suo padre Louis Michel è stato uno degli uomini politici più importanti del Belgio per decenni), è caduto sedendosi accanto a Erdogan e lasciando in piedi la Presidente von der Leyen, non è stato solo un momento imbarazzante e la dimostrazione di una scarsa educazione e galanteria: il messaggio che è passato è che Michel abbia preferito “fare comunella” con l’autocrate Erdogan, un po’ per machismo, un po’ per superficialità; e anche un po’ per una questione di prestigio – dato che per lui evidentemente la sua funzione è più importante di quella della Commissione, anche se ormai da anni il Protocollo li mette sullo stesso piano.
Un comportamento inammissibile, soprattutto davanti a un autocrate che ha appena fatto uscire il suo paese dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e che mantiene in prigione i più importanti leader dell’opposizione da anni. Un disastro di immagine per tutta l’Unione Europea, che non farà che incoraggiare i diversi governi europei a continuare a farsi la propria politica estera, dopo il brutto episodio a Mosca che aveva coinvolto l’alto Rappresentante Josep Borrell in una imbarazzante conferenza stampa con Lavrov, il ministro degli Esteri di Putin.
Infatti, come Michel stesso ha riconosciuto in un post su Facebook ieri sera, nel quale non si è scusato ma si è detto dispiaciuto della falsa immagine data da un protocollo turco “rigido”, questo “sofa-gate” ha vanificato il tentativo di tenere testa a Erdogan condizionando aiuti e aperture su visti e unione doganale a qualche segnale di discontinuità dentro e fuori la Turchia. Tentativi peraltro già poco convincenti di per sé, visto il tono modesto delle dichiarazioni di “preoccupazione” per la situazione dei diritti umani e le aperture “reversibili” su tutti gli altri temi.
Insomma Erdogan, pur stando alla canna del gas da un punto di vista economico e pur perdendo sempre più consensi, resta estremamente presente e influente in tutti gli scenari che contano per la Ue ed è sembrato oggi più solido che i suoi due ospiti. Ma il suo giochetto, vissuto da molti come un affronto, non farà che rendere ancora più diffidenti e ostili i suoi numerosi avversari a Bruxelles e in vari paesi membri e non faciliterà la sua pretesa di ristabilire relazioni positive, senza alcuna contropartita se non quella di non lasciare uscire i migranti (che sono più di 4 milioni).
Comunque sia, questo episodio imbarazzante non è che un’altra dimostrazione della debolezza della politica estera della Ue e della inadeguatezza di alcuni dei suoi rappresentanti, perfino a livello simbolico. Inadeguatezza figlia, ancora e sempre, dell’obbligo del consenso dei 27 su tutti i temi di politica estera che rende impossibile elaborare una posizione maggioritaria e, dunque, agire secondo una strategia unita che faccia pesare l’Ue per quello che rappresenta; e conseguenza anche della convinzione che ormai da molto tempo hanno alcuni dei leader più importanti, a partire dalla Merkel, che la difesa dei diritti e delle libertà, dentro e fuori dalla Ue, possa essere sacrificata sull’altare dell’economia o della Fortezza Europa.
Ma l’arroganza e l’influenza su tutti gli scenari che contano di grandi e piccole dittature, l’instabilità che ne consegue e le prime mosse dell’Amministrazione Biden, dimostrano che non è più possibile illudersi di continuare tranquillamente a commerciare e a prosperare sulle macerie del diritto e della democrazia altrui.