Farò tanti nomi ma questo no. Non me la sento, credo che la benevolenza sia sottovalutata. C’è un episodio del mio passato che non racconto mai, un fatto attiene alla sfera dei traumi o quanto meno a quella delle fobie, perché la risata è una cosa seria. Ora, credo che sia arrivato il momento di parlarne, ed eccoci qua. Anni fa, una sera di febbraio, stavo guardando la televisione. Per la precisione un Festival. Ad un certo punto arriva sul palco “il comico”. Non viene presentato come “il comico” (non succede mai) ma tutti sanno che è lì con unico scopo: far ridere. Ragazzi, che impresa. Il comico, visibilmente teso, inizia il suo ‘pezzo’. Passa qualche minuto e lui non fa ridere. Nessuno. A quei tempi c’era il pubblico seduto in sala: non si sentiva volare una mosca né un colpo di tosse o qualcuno che si soffiasse il naso, così ‘per sparigliare’. Io non solo non ridevo ma più lui andava avanti più iniziavo a provare un senso di disagio, di imbarazzo, quasi di repulsione, come se su quel palco ci fossi io. Dopo cinque, sei minuti di battute che non facevano ridere, la mia era diventata voglia di fuggire a ovest in cerca delle pietruzze d’oro (come quei tizi dei programmi Real Time: sospetto che qualcuno le piazzi nei punti giusti così che loro le trovino facilmente, ma stiamo sul tema). Da allora, da quel giorno, anzi da quella sera nella quale un vento da nord portava nevischio, ho iniziato ad avere la fobia dei programmi comici. La cosa mi ha permesso di vivere una vita comunque tranquilla, anche perché non sei costretto a imbatterti in un programma comico se non vuoi (“Buongiorno signora, oggi insieme al prosciutto crudo abbiamo in offerta un bello sketch al bancone!”) e thanks God le mie giornate sono accompagnate da amici che mi fanno ridere e che io faccio ridere a mia volta (potrebbero fingere, potrebbero vincere un Golden Globe e non andare a ritiralo perché sono super fighi, gli amici miei). Comunque, a un certo punto c’è stata una piccola svolta nel percorso di superamento del trauma: ho scoperto che esistono Stand Up Comedy visibili su Netflix. Amy Schumer mi ha fatto venire tre rughe nuove di zecca sul contorno occhi e ha guastato il mio condotto lacrimale, tanto ho pianto dal ridere in alcuni punti del suo show. Da lì, più niente. Fino a quando non ho sentito parlare di Lol. Non che la cosa mi sia arrivata con una soffiata o che una ‘gola profonda abbia cantato’: tutti parlano di Lol. Un programma comico, un comedy show, trasmesso su Amazon Prime. Un’idea ottima. Ragazzi, che fatica trovare le grandi idee, soprattutto quando si tratta di programmi. Stavolta la base, la materia prima, mi è parsa subito di grande livello: dieci comici, “chi ride è fuori”. Chi vince, dona 100 mila euro in beneficenza. Un cast fatto come si deve. Purtroppo, il mio primo approccio è stato molto negativo: ne ho guardato un pezzettino e non ho riso. Ho subito messo ¿Quién mató a Sara? una serie crime su Netflix, per rifarmi il palato. Poi è successo che la mia amica e collega Erminia, con la quale passo un mucchio di tempo a ridere e che di sicuro non si fa fregare del primo comico che passa, mi ha detto ‘guarda che ci sono cose da pisciar*i sotto’. E così ho riprovato. Con una diversa disposizione d’animo, decisa a superare il mio trauma, la mia fobia, la mia quasi repulsione. Quando mi sono ritrovata a ridere come una scema, da sola, sul divano, guardando Elio ballare il tip tap, ho capito: stavo superando il trauma. Pintus, Matano, Follesa, Lillo (non li cito tutti ma non perché non li conosca: sarebbe un bel problema, scrivendo io di spettacolo. Cito i miei preferiti). Ebbene, non sempre ma in alcuni momenti Lol fa parecchio ridere. Un’impresa difficilissima, tra le più complesse. Mancava da anni un format con questa resa. Lot of laughs. Anzi, rotfl.
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