La “Emilio Bianchi” è pronta a salpare alla volta dell’Egitto, dove è già stato deciso che sarà ribattezzata “Bernees”, numero d’immatricolazione 1003. Così, secondo quanto annunciano in un comunicato congiunto Rete Italiana Pace e Disarmo e Amnesty International Italia, anche la seconda delle due fregate multimissione Fremm che l’Italia ha venduto al Cairo per circa 990 milioni di euro si appresta a finire nelle mani della Marina del generale Abdel Fattah al-Sisi.
Secondo le indiscrezioni raccolte dalle due organizzazioni, oggi la “Emilio Bianchi”, che si trova nei cantieri navali di La Spezia esattamente come la prima nave “Spartaco Schergat”, poi ribattezzata “al-Galal”, completerà oggi l’imbarco degli armamenti, mentre domani avverrà la consegna definitiva alle forze armate egiziane, dopo una cerimonia del cambio di bandiera già avvenuta nelle ultime ore. Indiscrezioni, queste, che trovano conferma nel fatto che, da metà febbraio, dal porto ligure sono state eseguite diverse uscite in mare di collaudo finale e soprattutto di addestramento per l’equipaggio della Marina Militare egiziana.
“Questa notizia conferma in maniera evidente come non ci sia stato alcun cambio di rotta rispetto alle decisioni dello scorso anno e che anche il Governo Draghi, cui è in capo la responsabilità dell’autorizzazione finale alla consegna dopo la concessione della licenza di vendita nel 2020 da parte del Governo Conte, ha deciso di continuare a sostenere il regime egiziano con forniture militari. Una scelta che Amnesty International Italia e Rete Italiana Pace e Disarmo continuano a condannare e a considerare non solo inaccettabile e insensata, ma anche contraria alle norme nazionali e internazionali sul commercio di armi che l’Italia ha sottoscritto e che dovrebbe rispettare”, scrivono le due organizzazioni.
Il riferimento è anche alla legge 185 del 1990 che regola l’export di armamenti e vieta la vendita a quei Paesi che si macchiano di violazioni dei diritti umani. E sull’Egitto gli esempi sono molti: dalla mancata collaborazione nell’inchiesta riguardante l’uccisione di Giulio Regeni alla carcerazione preventiva senza giusto processo di Patrick Zaki, senza dimenticare le migliaia di oppositori al regime finiti in prigione, torturati, uccisi o costretti a fuggire dal Paese dei Faraoni. “Non va dimenticato – aggiungono – che a metà marzo è stato pubblicato un nuovo rapporto degli esperti Onu che individuano chiaramente una serie di violazioni da parte dell’Egitto dell’embargo sugli armamenti in vigore verso la Libia. Rafforzare la Marina Militare egiziana significa dunque peggiorare ulteriormente anche questa situazione specifica”.
L’operazione con l’Egitto, che ricordiamo è stata effettuata con due navi inizialmente destinate alla Marina Militare Italiana nell’ambito del programma Fremm, non risulta nemmeno essere vantaggiosa da un punto di vista economico. Come svelato da uno scoop de Ilfattoquotidiano.it, mentre l’Italia ha pagato 1,2 miliardi per una coppia di navi, Fincantieri ha rivenduto le stesse a circa 990 milioni di euro. Se a questi si aggiungono i costi di smantellamento dei sistemi Nato, gli interessi sui mutui accesi per l’acquisto e la manutenzione, la differenza tra il costo per lo Stato e quello per Il Cairo può arrivare fino a 556 milioni di euro. “La vendita di queste navi configura una serie di problemi e violazioni che le nostre organizzazioni hanno segnalato da tempo – sottolinea Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete Italiana Pace e Disarmo – cui nelle ultime settimane si è aggiunta anche l’evidenza di una perdita economica non indifferente, al contrario di quanto sostenuto da diversi esponenti politici come giustificazione dell’accordo”.