“Ti ammazzo, ti ammazzo”, “ora prendo una pala e ti metto sotto terra”, “bastardo negro, ti ammazziamo”. Un migrante, originario del Gambia, aveva chiesto solamente di essere pagato per le giornate di lavoro presso un’azienda agricola di Badolato, in provincia di Catanzaro. Tanto è bastato per riportare un trauma cranico e toraco-addominale con una prognosi di 7 giorni. È stato aggredito e picchiato per oltre un’ora dal suo datore di lavoro e da altre cinque persone finite stamattina agli arresti domiciliari. Si tratta di Giuseppe Gallelli, suo figlio Patrizio Gallelli, Vincenzo Ermocida, Massimiliano Garretta, Claudio Pupo e Stefano Ventura. Per la Procura di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, e per il gip Gabriella Logozzo non ci sono dubbi che Alhagie Krubally sia stato vittima di un’aggressione commessa per “finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale e razziale”.
I fatti sono avvenuti il 2 luglio scorso quando, al termine della giornata di lavoro, il giovane aveva chiesto i suoi soldi provocando la reazione violenta di Giuseppe Gallelli che si era scagliato contro l’operaio prima con un bastone e poi con una pietra. “Continuava a dirmi che non voleva pagarmi – è il racconto della vittima – Mirava alla mia testa. Ricordo in quella circostanza di aver ricevuto un colpo molto forte che mi fece molto male. Afferrai il bastone col quale mi stava aggredendo, così lui prese una pietra da terra e mi colpì al braccio con quella”.
Alhagie ha tentato invano di scappare ma è stato bloccato dal figlio del datore di lavoro, Patrizio Gallelli, e dagli altri arrestati: “Ancora non avevo preso la bicicletta, sono arrivate a forte velocità due macchine con diverse persone a bordo che subito si sono buttate contro di me per aggredirmi con pugni e calci, e con bastoni e pietre, continuando a picchiarmi anche dopo che ero caduto a terra. Li sentivo che mi minacciavano di morte, tutti urlando contro di me ripetutamente ‘ti ammazzo ti ammazzo’, ‘bastardo negro ti ammazziamo’. In particolare ricordo quello grosso, Stefano (Ventura, ndr), che mi diceva ‘ora prendo una pala e ti metto sotto terra’. Tutti tentavano di colpirmi, soprattutto alla testa, nel tentativo di uccidermi”.
A un certo punto, Alhagie è riuscito a uscire dall’azienda agricola. Il gambiano ha iniziato a correre lungo la strada che collega il borgo di Badolato con la marina. Per due volte lo hanno raggiunto e lo hanno pestato. Nella fuga, la vittima ha perso il borsello con i documenti e duecento euro. Con il cellulare, rimasto in tasca, ha cercato di chiamare i carabinieri, ma non c’è riuscito perché i suoi aguzzini glielo hanno impedito.
La statale 106 dista un cinque chilometri dal borgo. È lì che si è consumata la caccia all’uomo nella quale il migrante ha tentato di scappare a piedi mentre gli aggressori lo hanno seguito con l’auto: “Ricordo Stefano, quello alto e grosso, che fermava la macchina con una sgommata, scendeva e riusciva ad avvicinarsi a me e strapparmi di mano il cellullare, prima rompendolo a metà e dopo buttandolo nella campagna a margine della strada. Poi mi iniziava nuovamente ad aggredire assieme a Patrizio ed al gobbo. Sono scappato nuovamente da loro inoltrandomi nelle campagne e finalmente mi sono accorto che non mi inseguivano più”.
Erano ormai le 8 di sera quando Alhagie è arrivato sulla statale 106 per chiedere aiuto. Si è salvato perché, proprio in quel momento, passava una pattuglia della Guardia di finanza che ha subito contattato il 118 e il giovane africano è stato accompagnato al pronto soccorso di Soverato.
Il racconto del gambiano viene riscontrato dalle indagini dei carabinieri coordinate dal pm Chiara Bonfadini. Il gip Logozzo scrive che l’azione degli indagati si è “manifestata come consapevole esteriorizzazione di un sentimento di avversione e di discriminazione fondato sulla razza e sull’origine etnica della parte offesa”. In sostanza, Alhagie è stato aggredito perché di colore: “Il ricorso ad espressioni come ‘bastardo negro’ denota l’orientamento dei fatti rivelando l’inequivoca volontà di discriminare e selezionare la vittima del reato in ragione della sua appartenenza etnica”.