Nel bel mezzo della pandemia, quella che doveva essere una visita di cortesia dell’Ue alla Turchia, in vista di un riavvicinamento, si è trasformata in un incidente diplomatico che ha messo a nudo i problemi di un’Europa unita che ancora stenta ad esercitare quel ruolo di leadership globale che le competerebbe.
Bisogna comprendere che il ‘sofa-gate’ di cui si discute e per cui ci si indigna parte da molto lontano.
Mentre i Consigli europei continuano a tenersi in video call (l’ultimo il 25 marzo), il Presidente del consiglio europeo Charles Michel e la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen sono andati fisicamente ad Ankara con l’obiettivo di ammorbidire i rapporti con il ‘dittatore’ (giusta la definizione di Draghi, anche se Erdogan preferisce vedersi come un sultano), che pochi giorni prima aveva ritirato la Turchia dalla convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, altro chiaro messaggio del pericoloso corso che ha preso un grande Paese dove la parola democrazia è stata progressivamente messa da parte.
Così, per meglio affrontare il problema legato all’uscita dalla convenzione sulla violenza sulle donne, i turchi hanno applicato rigorosamente il protocollo sulla disposizione dell’assegnazione dei posti, che è stato concordato dallo stesso consiglio europeo. Nessuno sgarbo protocollare quindi, ma semplice finalizzazione di un assist servito sul piatto d’argento al “sultano” turco, che ufficialmente ne esce pulito e che se la ride sotto i baffi. Un autogol per l’Ue rappresentata da Charles Michel, le cui scuse non bastano. L’immagine della Presidente della Commissione Von der Leyen attonita che guarda il suo collega europeo seduto è un’immagine che ha fatto il giro del mondo e che racconta la subalternità di una Ue che invece dovrebbe essere esempio di intransigenza.
L’ex premier belga Charles Michel ha mostrato ancora una volta, purtroppo, la sua inadeguatezza ad un ruolo che richiede coraggio e capacità evidentemente mancanti. In molti ne chiedono la testa, e non solo per l’incidente di Ankara. La difesa di monsieur patate (cosi come viene scherzosamente chiamato in Belgio) al suo comportamento è stata il voler evitare un incidente diplomatico, affermazione che aggrava ancora di più la sua posizione e rende l’Europa debole e ricattabile agli occhi di Erdogan e di qualsiasi dittatura (vedi Arabia Saudita).
Il problema di rapporti tra istituzioni Ue non sorge oggi e porta spesso ad invidie e sgambetti tra i rappresentanti pro tempore di Commissione e Consiglio (e a volte anche il Parlamento Ue). Dire di no ad un dittatore e identificarlo per quello che è significa marcare chiaramente differenze e visioni, accendendo speranze di libertà tra cittadini che vedono nell’Ue e nella sua leva di mercato la possibile leva per il rispetto delle loro libertà fondamentali.
La mancanza di polso dell’Unione lascia spazio ai retropensieri sulla leadership interna di alcuni Paesi, come la Germania. Senza guida e senza direzione unitaria diventa difficile comprendere le relazioni con Cina, Russia, Libia, Turchia e via dicendo.
A ridosso della conferenza Stampa del Presidente del Consiglio di ieri, lo stesso Draghi, provocando le ire turche, ha dato – secondo me giustamente – del ‘dittatore’ a Erdogan, ammettendo che bisogna purtroppo trovare dei compromessi. Una sortita che ha fatto rumore, malgrado le ovvietà di un pensiero che tutti condividono in silenzio tra i corridoi dei palazzi di Bruxelles ma che quasi nessuno ha il coraggio di dichiarare pubblicamente. Ritorna alla memoria l’ex Presidente Juncker che con spirito, ma celata verità, dava del dittatore con tanto di bonario boffetto all’ungherese Orban che quasi compiaciuto accettava il “complimento”.
Mi chiedo se l’uscita estemporanea di Draghi sia l’innocente malizia di un superburocrate o un non troppo velato messaggio ai liberali (Macron) e ai popolari europei (Merkel) con finalità politiche.
Sì, perché questa visita turca ”di persona”, cosi urgente, in piena pandemia, tutto sembrava tranne che di interesse comune europeo. La Turchia è infatti economicamente in difficoltà, con la Lira ai minimi storici e un’inflazione alle stelle, e in questo momento storico continua ad usare verso l’Ue la leva del blocco dei flussi migratori. Arma di ricatto all’Europa che ha già fruttato al sultanato turco parecchi miliardi di euro (oltre ai vari miliardi di euro relegati ai turchi per il fallito processo di pre-adesione).
La visita sembrava infatti più d’interesse tedesco che europeo, viste le prossime elezioni nazionali previste in settembre, dove il partito della Merkel (Cdu), lo stesso di Ursula Von Der Leyen (che era ministro della Difesa tedesca durante il fallito golpe turco di qualche anno fa), è a picco nei sondaggi, con i verdi in grande ascesa.
L’esame di turco rischia di costare caro allo studente europeo, che si presenta saputello alla sessione senza aver fatto prima i compiti bene a casa propria.