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Sofagate, l’Ue si defila dalla polemica Draghi-Erdoğan: “Non sta a noi giudicare le persone”. “No comment” della Germania

Il governo di Ankara continua a chiedere le "scuse" da parte dell'esecutivo italiano, mentre in Europa solo la commissione per la difesa dei diritti delle donne e dell’uguaglianza di genere dell'Eurocamera si schiera con il premier italiano. Il vicepresidente turco attacca Draghi: "Se vuole vedere cosa sia una dittatura deve guardare alla storia recente" del suo Paese "e lo vedrà molto chiaramente"

Dalla Turchia continuano gli attacchi nei confronti di Mario Draghi, dopo che il presidente del Consiglio, nel corso della conferenza stampa di giovedì, ha definito il capo dello Stato turco, Recep Tayyip Erdoğan, “un dittatore con cui si deve cooperare”. A parlare è il vicepresidente turco Fuat Oktay che, senza giri di parole, ricorda al premier il passato fascista del Paese: “Se vuole vedere cosa sia una dittatura – ha dichiarato – deve guardare alla storia recente” del suo Paese “e lo vedrà molto chiaramente”. E mentre da Ankara chiede che il presidente del Consiglio ritiri le proprie affermazioni e si scusi, l’Europa si defila, e sembra voler lasciare che a risolvere il caso diplomatico che si è innescato siano solo Roma e Ankara, al fine di non compromettere i rapporti con Bruxelles, fondamentali per diversi dossier, su tutti la gestione dei flussi migratori.

L’Ue si defila dalla polemica Draghi-Erdoğan: “Non sta a noi giudicare le persone”. “No comment” della Germania
L’imbarazzo nei corridoi dell’Unione europea e tra gli Stati membri, in particolare la Germania, è palpabile. Da una parte la consapevolezza che le parole di Draghi, seppur scomposte e poco diplomatiche, non si discostino molto dalla realtà, tenendo conto che, oltre allo sgarbo protocollare nei confronti di Ursula von der Leyen, stiamo parlando di un Paese che dal fallito golpe del 2016 sta usando la scusa della sicurezza nazionale per incarcerare migliaia di giornalisti, professori, attivisti e, in generale, critici del governo di Ankara. Dall’altra, però, l’evidenza del fatto che la Turchia rappresenta un Paese fondamentale per l’Europa, in particolar modo sul dossier migranti.

Così, la Commissione Ue con uno dei suoi portavoce, nel corso del consueto midday briefing a Palazzo Berlaymont, ha dichiarato che “la Turchia è un Paese che ha un Parlamento eletto e un presidente eletto, verso il quale nutriamo una serie di preoccupazioni e con il quale cooperiamo in molti settori. Si tratta di un quadro complesso, ma non spetta all’Ue qualificare un sistema o una persona“. E ha poi aggiunto che le preoccupazioni nutrite dall’Ue verso Ankara “riguardano la libertà di espressione, i diritti fondamentali, la situazione del sistema giudiziario”. Una posizione abbastanza tiepida, visto che è stato proprio il capo della commissione stessa a subire quello che in molti hanno letto come un affronto diretto a una leader donna.

D’altra parte, nemmeno da Berlino, principale sponsor degli accordi con Ankara ma anche governo amico di Draghi, arrivano prese di posizione. In due occasioni, la portavoce del governo federale, Ulrike Demmer, ha infatti preferito ricorrere al ‘no comment’ per evitare di urtare la sensibilità delle parti in causa. Sia quando le è stato chiesto di commentare le parole di Draghi (“non commentiamo affermazioni di capi di Stato e di governo”) che quando è stata invitata a dare un parere sul protocollo adottato nel corso della visita di von der Leyen e Michel ad Ankara (“non commento questioni protocollari. Bisogna rivolgersi alla Commissione europea e al segretariato del Consiglio europeo, che si sono già espressi”). Una posizione difficile da tenere, quella tedesca: se da una parte stiamo parlando del Paese più importante tra quelli membri dell’Unione europea e che più volte si è esposto a sostegno dei diritti umani, ultimo caso la vicenda Navalny, dall’altro Berlino è anche il principale sponsor degli accordi con la Turchia. Questo perché Ankara, ormai dal 2015, tiene la mano sul rubinetto dei flussi migratori lungo la rotta balcanica, continuando a minacciare di inviare al confine con la Grecia i circa 4 milioni di rifugiati siriani ospitati secondo gli accordi raggiunti proprio con Bruxelles. Migranti che arriverebbero in massa anche e soprattutto in Germania, Paese che più di tutti ha aperto le porte ai rifugiati mediorientali. Inoltre, si deve ricordare che la comunità turca in Germania è molto numerosa e uno scontro con il presidente Erdoğan rischierebbe di generare anche tensioni interne.

Gli unici a prendere posizione a sostegno di Draghi a bruxelles sono gli eurodeputati che compongono la commissione per la difesa dei diritti delle donne e dell’uguaglianza di genere, secondo cui la “misoginia del presidente turco e l’inerzia del presidente del Consiglio europeo Charles Michel” devono essere sottolineate. Evelyn Regner dei Socialisti, presidente della commissione, ha parlato di “mancanza di rispetto” che “va oltre la persona e l’istituzione” e che “dimostra ancora una volta quanto vada fatto per sostenere le donne in posizione di leadership”. Non meno duri gli altri componenti, a partire dalla vicepresidente Eugenia Rodríguez Palop (Gue/Ngl) convinta che “il disprezzo mostrato verso la presidente von der Leyen, rimasta senza sedia, sia un esempio della campagna contro i diritti delle donne in Turchia”. A farle eco la terza vicepresidente Elissavet Vozemberg (Ppe) che ha parlato di “comportamento inaccettabile e denigratorio di Erdoğan nei confronti della presidente della Commissione”. Robert Biedron (Socialisti), quarto vicepresidente, ha criticato la “totale mancanza di rispetto di Erdoğan non solo verso l’uguaglianza di genere, ma anche nei confronti del protocollo diplomatico”. L’eurodeputato Frances Fitzgerald (Ppe) ha invece parlato di “sessismo quotidiano ai livelli più alti della politica e della diplomazia”, mentre Maria Noichl (S&D) ha sottolineato la “chiara responsabilità anche da parte di Charles Michel”.

Il vicepresidente turco: “Vogliamo le scuse di Draghi”
Oktay ha “condannato” su Twitter le parole del premier italiano e ha fatto sapere che il governo di Ankara esige delle “scuse”: “Condanno – ha spiegato – le dichiarazioni sfrontate e scandalose del premier Draghi riguardo al nostro presidente che per tutta la sua vita ha fatto gli interessi del suo Paese e della sua Nazione, si è opposto a ogni forma di fascismo e patronaggio e ha vinto ogni elezione con grande fiducia da parte del popolo”.

Ieri sera, poco dopo le parole pronunciate da Draghi, l’ambasciatore italiano ad Ankara, Massimo Gaiani, è stato convocato dal ministero degli Esteri turco che ha protestato ufficialmente per “le inaccettabili dichiarazioni del presidente del Consiglio italiano”. Nel corso del colloquio con Gaiani, si legge in una nota, il vice ministro degli Esteri e direttore degli Affari Ue, Faruk Kaymakci, ha affermato che la Turchia “condanna fermamente le dichiarazioni del presidente del Consiglio italiano nominato”, sottolineando che Erdoğan è “un leader che è stato eletto con il più alto voto popolare di sostegno in Europa e che noi ci aspettiamo che queste dichiarazioni impertinenti e inopportune, che non possiamo collegare in alcun modo all’amicizia e alleanza turco-italiana, vengano immediatamente ritirate”. Kaymakci ha inoltre sostenuto che “le dichiarazioni, rese senza conoscenza degli accordi protocollari riguardanti le visite dei presidenti del Consiglio Ue e della Commissione Ue nel Paese sono inaccettabili, che nessuno dovrebbe mettere in dubbio l’ospitalità della Turchia, che la Turchia non prenderà parte a discussioni senza senso e malintenzionate all’interno dell’Ue e che trova vani gli sforzi per minare l’agenda positiva Turchia-Ue”.