Leggendo i dati dell’ultimo report sulla mortalità Covid dell’Istituto Superiore di Sanità del 30 marzo 2021, l’età media dei pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 era 81 anni (mediana 82), un po’ più alta di quella registrata durante la prima ondata. Nonostante i principali quotidiani e media per mesi abbiamo continuato a mettere in prima pagina la notizia del giovane deceduto a causa del virus, la realtà non si è dunque modificata: l’età media dei deceduti è più alta di oltre 30 anni rispetto a quella delle persone che si sono infettate e a morire sono ancora i grandi fragili.

I dati confermano inoltre quanto già si sapeva, ovvero che la stragrande maggioranza dei decessi (97%) riguarda persone con una o più malattie pregresse all’infezione. Quindi non solo grandi anziani, ma anche anziani malati e sofferenti.

In un paese normale, i cittadini da mettere in salvo di fronte a un grave pericolo sono i più vulnerabili. Ma l’Italia purtroppo non è un paese normale. Dopo due mesi dall’inizio delle vaccinazioni di massa le persone vaccinate con prima dose e richiamo sono 3.761.215 a fronte di un numero di 11.850.000 dosi distribuite. Gli ultraottantenni vaccinati risultano al momento però poco meno di un milione, pari a solo il 24% di questa fascia di popolazione.

Le vaccinazioni somministrate a categorie non considerate a rischio come amministrativi, politici, docenti universitari e il più vasto popolo degli amici degli amici sono invece più di due milioni. Ci sono certamente molti casi di persone anziane che hanno paura a immunizzarsi, e altre che volontariamente scelgono di prorogare la vaccinazione. Ma che la percentuale sia ancora così bassa e che miriadi di persone giovani e sane stiano ricevendo la vaccinazione prima dei fragili e dei fragilissimi rimane purtroppo un dato di sconcertante realtà.

Le regioni che spiccano nella melanconica classifica del mors tua, vita mea sono spalmate sull’intero territorio nazionale, forse a sottolineare che quando si tratta di guardare a se stessi la nazione palpita con un solo cuore. Primeggia la Campania dell’arcigno governatore Di Luca con 297.000 vaccinati fuori lista a fronte di 295.000 ultraottantenni. Stesso esito si registra ai due capi della penisola: in Sicilia e in Valle D’Aosta, due regioni a statuto talmente speciale da porsi probabilmente altri problemi rispetto a quelli della salvaguardia della popolazione più fragile.

I numeri fanno rabbrividire, soprattutto se si pensa alla retorica che ha accompagnato per mesi le misure del lockdown propagandato come necessario proprio per salvare la coorte dei cittadini più anziani, quella che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 20 marzo scorso aveva definito come “la generazione composta da persone che costituiscono per i più giovani punto di riferimento non soltanto negli affetti ma anche nella vita quotidiana”.

In questo quadro sconfortante il premier Draghi ha osato dire che bisogna restituire un minimo di razionalità oltre che di ordine morale all’agenda delle vaccinazioni, smettendo di vaccinare per primi chi ha meno di 60 anni, i giovani, i ragazzi e gli psicologi di 35 anni e dando priorità agli anziani. L’Italia degli ordini professionali, compresi quelli di notai e avvocati, come sempre immancabili quando si tratta di lottare per la giustizia e i diritti, di fronte all’affermazione più logica che un premier potesse fare è scesa sul piede di guerra.

L’Ordine degli psicologi per voce del suo presidente ha evidenziato che non sono stati i suoi iscritti a richiedere una priorità, ma il governo che ha deciso di includere le professioni sanitarie tra gli aventi diritto alla precedenza per la somministrazione del vaccino. Immediata è stata la solidarietà dei presidenti di altri ordini che aspettano che anche i propri iscritti siano messi nella lista dei fortunati a ricevere prioritariamente i vaccini, ovviamente specificando che le eventuali rivendicazioni sono avanzate sempre in nome della tutela dei pazienti, degli utenti e dei clienti di cui le diverse categorie professionali si occupano.

Nel paese delle corporazioni, ragioni e torti spesso si mischiano insieme e anche in questo caso sarebbe stato forse opportuno parlare, più che di generici iscritti agli ordini, dei soli professionisti che devono essere in prima fila per fornire servizi essenziali alle persone, ricordando magari che anche le cassiere dei supermercati offrono beni essenziali alla popolazione, eppure nessuno si è preoccupato di offrire loro una priorità della copertura vaccinale. Ma i distinguo quando si tratta di rappresentare categorie professionali non sono naturalmente mai opportuni da fare, perché sono le logiche corporative che creano la forza di negoziazione.

Eppure quello che ha detto il premier Draghi – al di là delle parole che possono essere sempre fuorvianti – è un messaggio che non dovrebbe essere contestato da nessuno. Se c’è un’epidemia, i primi da tutelare sono i più esposti e i primi tra i primi da proteggere sono quelli che muoiono di più. E chi è morto di più in Italia sono gli ultraottantenni, quelli che la retorica italica ha definito i ‘padri della patria’, e che sono oggi coloro che pagano più di tutti gli altri le colpe del mancato adeguamento del piano pandemico nazionale, delle delibere assassine della regione Lombardia che inviava i malati non ancora negativizzati nelle Rsa, causando le stragi della prima ondata, del persistere della chiusura delle visite nelle case di riposo, dove come vegetali sopravvivono anziani che da un anno non possono più abbracciare i loro cari.

Almeno per rispetto nei confronti di questo gruppo di grandi fragili che sta pagando il prezzo più alto della epidemia, sarebbe opportuno evitare di rivendicare accessi preferenziali per intere categorie professionali, sorvolare sulle polemiche nei confronti di un premier che ha solo ribadito una triste verità e forse più dignitoso unirsi in una pressione nei confronti delle istituzioni, affinché mettano in salvo prima i più deboli e a seguire tutti gli altri, medici e personale sanitario di prima linea e via via le seconde e terze file.

Sperando ovviamente che i vaccini aiutino veramente a uscire dalla tragedia, e non sia necessario invece aspettare una cura alla malattia.

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