di Carmelo Sant’Angelo

In principio era il verbo ed il verbo era presso Draghi. Così, a reti ed edicole unificate, ci era stato presentato questo profeta dei mercati, l’apostolo della stabilità, il buon samaritano del capitalismo. Il verbo era presso di sé e per cui lo usava con molta parsimonia. Era sufficiente uno sguardo, un gesto, un “whatever” e le valute oscillavano armoniose ai suoi voleri, mentre le cancellerie si inchinavano per attingere dal palmo della sua mano la salutare linfa della libera concorrenza.

Non sono passati nemmeno due mesi dall’insediamento del suo governo e Draghi si rivela, invece, un personaggio tipicamente pirandelliano. Il suo dramma è quello di colui che non riesce a liberarsi dalla maschera realizzata ed imposta dagli apologeti del neo Istituto Luce. È il dramma di chi non riesce a far sentire la propria voce e, al contempo, il dramma di chi decide di non ascoltare. È un dramma che lo perseguita da alcuni anni. Si presenta al forum Ambrosetti, sciorinando un’agenda di luoghi comuni, e tutti ne lodano la sagacia e la lungimiranza. Diventa Presidente del Consiglio e i rivoli di bava straripano dalle rotative e dagli schermi televisivi sino a diventare dei fiumi in piena.

Dal momento in cui scopre che tutti coloro che l’osservano gli attribuiscono, ineluttabilmente, una forma diversa da quella in cui egli stesso si riconosce allora decide di rimuovere questa maschera posticcia e cercare la “vera vita”. È qui che si concentra l’essenza del dramma pirandelliano.

In poche settimane chiama brutalmente “condono” un premuroso atto di “pace fiscale”; definisce, con poca creanza, “dittatore” l’uomo “forte” di Ankara; rimprovera la categoria degli psicologi perché, in osservanza al suo decreto del primo aprile (la data vorrà dire pure qualcosa!), si fanno vaccinare con priorità; si fa paladino di una crociata contro gli anglicismi per vendicarsi di quel maledetto “whatever”; revoca l’ordine del generale “Macchiaiuolo” (da qui l’omonima corrente pittorica) destinando il vaccino non “al primo che passa”, ma al più anziano; parla anche quando non c’è alcun decreto da illustrare; indice conferenze stampa e si presenta dopo tre ore, aspettando, forse, il “favore delle tenebre”; si arroga la libertà di cambiare atti normativi, come i decreti, con una mera delibera del Consiglio dei ministri; si fa aiutare da alcune invise multinazionali per redigere il Recovery Plan; moltiplica per tre la task force chiamata a vigilare sull’attuazione del medesimo piano…

Onestamente si impegna, cercando di dimostrare, “urbi et orbi”, che sa e che può fare peggio di Conte, ma non c’è nulla da fare. Per i suoi numerosi agiografi rimane sempre “un bel Presidente, un Santo”.

Quale sarà l’epilogo di questa triste vicenda? Se dovessimo attenerci scrupolosamente agli insegnamenti dello scrittore di Girgenti, è palese che siamo in presenza della classica fatica di Sisifo. Tutti i personaggi che ingaggiano questo percorso di libertà sono, infatti, destinati a soccombere. Consci del loro fallimento, non avranno altra via d’uscita che il delitto, il suicidio, oppure fingersi pazzi, ed esprimere liberamente le loro idee, o accettare rassegnati la loro condanna.

Nell’attesa di conoscere il destino di Draghi non rimane che attendere un nuovo Pirandello, che possa interpretare al meglio il suo disagio esistenziale. Io, perdonatemi, non ne sono all’altezza.

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