La dinamica dell’incidente, la causa della collisione, il motivo del cambio di rotta. E poi ancora i soccorsi mai arrivati o addirittura “rifiutati“, come emerge da un documento dell’Aeronautica militare che ilfattoquotidiano.it ha pubblicato una ventina di giorni fa. Ma mentre in questi anni alcuni pezzi della ricostruzione della strage del Moby Prince, di cui ricorrono oggi i trent’anni, sembrano essere tornati al proprio posto, tra i vari punti ancora oscuri resta quello che gira intorno al vortice delle compagnie assicurative delle navi coinvolte – il Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo contro la quale il traghetto finì – che trovarono un accordo in tempi record, poco più di due mesi dopo, come ha ricostruito la commissione d’inchiesta del Senato che ha concluso i suoi lavori nel 2018. Ma ora si scopre una cosa in più: mentre la Procura di Livorno avviava la sua inchiesta (che porterà a un processo senza colpevoli), poco meno di tre settimane dopo il disastro era già in corso un’altra inchiesta, parallela e tutta privata, condotta su mandato dell’agenzia broker dell’assicuratore delle Bermuda scelto dalla Navarma (la società proprietaria del Moby Prince) che pagò tutti i risarcimenti per un valore di 60 miliardi.

A dirlo è un documento che si trova tra gli oltre 2mila acquisiti dalla commissione del Senato dal tribunale di Livorno. L’atto è riemerso, come altri, dall’archivio dell’associazione dei familiari delle vittime “10 aprile” tramite il progetto della Regione Toscana Armadio della Memoria. Si tratta di un rapporto investigativo ricevuto dall’agenzia Charles Taylor & Company di Londra il 29 aprile 1991, 19 giorni dopo l’incidente. Arriva dagli archivi del tribunale di Livorno: non ha alcuna data di acquisizione da parte della Procura benché sia stato trasmesso nel maggio 1991 – come si deduce da una dicitura alta tipica delle comunicazioni via fax dell’epoca – dalla stessa Charles Taylor & Company.

L’atto riporta le dichiarazioni rese il giorno prima a Galveston, Texas, dal comandante e dal primo ufficiale della Margaret Lykes, una nave cargo Usa partita da Livorno prima della collisione tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo. A fare le domande ai due vertici del comando del mercantile americano è una società top ranking di investigazione e gestione del contenzioso, la Watkins of Royston Rayzor Vickery & Williams, interpellata dalla Charles Taylor & Company per l’occasione. Il comandante della Margaret Lykes Jerome Gaspard e il primo ufficiale Lloyd Hambley spiegano agli investigatori privati che la nave la sera dell’incidente aveva lasciato il porto con rotta verso sud, e intorno alle 21.40, a circa 7 miglia e mezzo dalla diga dello scalo toscano, videro sì un banco di nebbia basso, ma anche che questo permetteva di vedere le luci dell’isola della Gorgona ad oltre 18 chilometri di distanza. E’ a questo punto, raccontano Gaspard e Hambley, che con la loro nave furono obbligati a una manovra per evitare la collisione con una nave non identificata, diretta da sud verso il porto di Livorno, quindi in direzione contraria alla rotta del Moby Prince.

Tramite alcune comunicazioni radio – acquisite dal nastro magnetico delle Poste su cui furono registrati i canali di emergenza in mare la notte della strage del Moby – sappiamo che tra questa nave senza nome e la Margaret Lykes ci furono delle comunicazioni per evitare la collisione, non descritte dal comandante e dal primo ufficiale durante i colloqui con gli investigatori privati statunitensi che mandarono il rapporto alla Charles Taylor & Company. In queste conversazioni a distanza il comandante della nave in rotta di collisione non si qualificò mai col nome della propria nave gestendo il dialogo con un inglese viziato da una inflessione apparentemente greca.

Perché è importante questo documento? Perché la Charles Taylor & Company – l’agenzia che incarica gli investigatori privati – è comparsa in questa storia solo un’altra volta, tre anni fa, e sempre grazie al lavoro di ricerca della Guardia di Finanza per conto della commissione d’inchiesta del Senato. Fu allora che tornò alla luce l’atto dell’accordo siglato a Genova il 18 giugno 1991, quando il dipendente della Charles Taylor, Charles Mawdsley, in un tempo record (solo due mesi e 8 giorni dopo l’incidente), riuscì nell’impresa di mettere allo stesso tavolo tutte le aziende coinvolte nonostante le responsabilità (tra nave investita e nave investitrice) fossero ancora tutte da chiarire. A quel tavolo erano rappresentate la Navarma (la compagnia armatoriale del Moby Prince, diventata poi l’attuale Moby spa), la Snam (che armava la petroliera Agip Abruzzo e non ha niente a che vedere con l’omonima di oggi), l’Agip (proprietaria del carico, poi diventata Eni) e le rispettive compagnie assicurative. Il maxi-accordo viene definito per iscritto: a pagare i risarcimenti oltre ogni limite di legge dell’epoca sarebbe stata la The Standard Steamship Owners Protection and Indemnity, compagnia assicurativa con sede alle Bermuda, che aveva firmato un contratto con la Moby – stando alla versione della compagnia – dal 20 marzo, cioè venti giorni prima il disastro. Secondo questa intesa con “tutti dentro”, ad ogni modo, l’assicuratore delle Bermuda pagò circa 60 miliardi di risarcimenti, benché nelle due pagine di contratto che lo lega al Moby Prince ne avrebbe potuti pagare solo 4. Un patto tra compagnie e assicurazioni grazie al quale Snam e Agip e i loro assicuratori accettarono di non far la guerra legale alla (allora piccola) compagnia di navi passeggeri. E che ebbe come effetto, come scritto nella relazione finale della prima commissione d’inchiesta, quello di condizionare “se pur indirettamente, l’operato dell’autorità giudiziaria”.

Tra le anomalie dell’accordo si aggiunge il fatto che né l’assicuratore bermudiano né l’agenzia broker londinese parteciparono ad alcun interrogatorio a Livorno – come invece fecero gli altri assicuratori delle navi coinvolte nell’incidente – ma, stando al documento ritrovato, è successo che al contrario il broker ha attivato questa indagine tutta americana sul Margaret Lykes e sulla sua scongiurata collisione con una nave senza nome che stava andando verso Livorno con una tale fretta da rischiare un incidente, proprio mentre il Moby Prince stava lasciando il suo porto in una rotta simile, benché contraria. Cosa avesse di così speciale a fini assicurativi quella testimonianza resta da scoprire al pari del resto delle altre attività della Charles Taylor & Company sul caso Moby Prince e ancora mai acquisite da nessuna autorità italiana. E’ già un primo materiale per la nuova commissione d’inchiesta che sta per nascere in Parlamento e forse può essere un ulteriore elemento per l’inchiesta penale, la terza in trent’anni, condotta dalla Procura di Livorno che sta procedendo per strage, l’unico reato ancora non prescritto.

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