Aveva 64 anni Rossana Di Bello, ex sindaca di Taranto morta a causa del Covd nelle prime ore di questa mattina. Prima donna a ricoprire il ruolo di prima cittadina nel capoluogo ionico è ancora oggi uno dei personaggi che in modo più netto divide l’opinione pubblica tarantina. Una parte della città la considera la protagonista di una delle stagioni che ha fatto crescere e cambiare positivamente volto alla città. Dall’altra invece Rossana Di Bello è ritenuta politicamente responsabile del dissesto economico che fu dichiarato nell’ottobre 2006. Solo politicamente, però, perché dal punto di vista giudiziario non hai riportato alcuna condanna nei diversi procedimenti aperti dalla procura ionica sul crac finanziario del Comune: anzi è stata sempre assolta con formula piena.
Nel 1993 fondò a Taranto il primo circolo pugliese di Forza Italia e in breve divenne punto di riferimento del berlusconismo regionale. Eletta alla Regione Puglia nell’era di Raffaele Fitto, ricoprì diversi incarichi da assessore fino a quando nel 2000, fu candidata – quasi contro la sua volontà – come sindaco della coalizione di centro destra. Nel 2005 fu rieletta a furor di popolo, ma a differenza dei primi cinque anni di amministrazione, la sindaca dovette fare i contri con la drammatica situazione finanziaria in cui versavano le casse del Comune di Taranto. A febbraio 2006, dopo la condanna in primo grado per l’affidamento dell’inceneritore comunale che fu poi annullata in appello, rassegnò le sue dimissioni. A Taranto, per farle cambiare idea, anche i big di allora come Gianfranco Fini, ma non servì a nulla. Rossana Di Bello scomparve da qualunque scena politica. Si ritirò nell’attività di famiglia nel silenzio più assoluto dal quale non è mai uscita.
Ma nei suoi anni alla guida della città, però, Rossana Di Bello fu per un periodo anche la nemica numero uno della famiglia Riva. Nel maggio 2001, infatti, l’allora sindaca firmò l’ordinanza per sospendere l’attività produttiva del Reparto Cokeria, uno dei più inquinanti dell’intero stabilimento siderurgico tarantino. Un braccio di ferro con l’allora patron dell’acciaio Emilio Riva sul quale Di Bello mostrò un coraggio che all’epoca in pochi avevano avuto contro il colosso dell’acciaio. In quegli anni, parlare dell’inquinamento dell’Ilva significava inimicarsi un intero territorio, ma Rossana Di Bello riuscì a tenere per un po’ la barra dritta. La vicenda, ormai dimenticata, era cominciata a febbraio quando dopo una segnalazione la sindaca emise un’ordinanza nella quale impose a Ilva “di mettere in atto gli interventi necessari ad eliminare le carenze strutturali della batterie” oppure di “fermare l’esercizio di tali batterie ovvero di sostituirle con altre nuove”.
Dopo un incontro con i vertici della fabbrica, la prima cittadina emise una nuova ordinanza con la quale imponeva di presentare il programma definitivo e dettagliato di ricostruzione delle batterie entro 90 giorni. A distanza di mesi, però, Ilva non fornì una serie di risposte esaustive e così, quando il Comitato di vigilanza che il Comune aveva istituito suggerì l’adozione di “ulteriori misure per contenere e ridurre le emissioni di fumi o gas”, Rossana Di Bello firmo, il 22 maggio 2001, l’ordinanza 244 con la quale ingiungeva al direttore tecnico dello stabilimento la “immediata sospensione dell’esercizio delle batterie 3-6 della cokeria” a causa “dell’inerzia dell’Ilva”. A distanza di qualche emise intervenne anche la procura che sequestrò gli impianti. Nel corso del processo, il pool di magistrati composto all’epoca dal procuratore Aldo Petrucci, dall’aggiunto Franco Sebastio e dai sostituti Maurizio Carbone, Alessio Coccioli e Remo Epifani riuscì ad aprire nuovi fascicoli di indagine e che portano a processo i vertici della fabbrica e nei quali il Comune di Rossana Di Bello si costituì parte civile. Alla fine, tuttavia, la politica prevalse: nell’unico procedimento che condannò i via definitiva Emilio Riva e l’allora direttore Luigi Capogrosso, il Comune, come la Regione e la Provincia ritirarono la costituzione di parte civile. Con i Riva erano stati firmati “protocolli di intesa” che avrebbe dovuto completamente stravolgere positivamente le condizioni ambientali. Ma quegli accordi rimasero sulla carta. Taranto non ottenne alcun risarcimento e neppure il miglioramento della vivibilità. Chi ha conosciuto Rossana Di Bello, sostiene che sia uno dei suoi più grandi rimpianti.