L’affaire delle mascherine cinesi acquistate dalla struttura dell’allora commissario, Domenico Arcuri, aveva aggiunto un nuovo tassello solo dieci giorni fa quando da Gorizia fu ordinato il sequestro dei dispositivi perché erano pericolosi ed erano finiti anche in strutture ospedaliere. A Roma, che invece indaga sulle commissioni intascate dai mediatori che quelle mascherine le trattarono, secondo La Verità hanno deciso di aggiungere al reato di corruzione – per cui era stata richiesta una archiviazione ancora non accolta dal gip – anche il reato di peculato per l’ex commissario. Oltre che ad Arcuri, quello che per il codice penale è l’appropriazione indebita… di denaro o altro bene mobile appartenente ad altri, commessa da un pubblico ufficiale che ne abbia il possesso in ragione del suo ufficio, viene contestata, sempre secondo La Verità, ad Antonio Fabbrocini, vice dell’allora commissario e responsabile unico del procedimento per l’acquisto di 801 milioni di mascherine da tre diversi consorzi cinesi. Ed è con Fabbrocini che Arcuri condivide anche l’accusa di corruzione. Un’accusa da archiviare secondo i pm di Piazza Clodio perché Arcuri non era consapevole degli illeciti. Ma la domanda è qual è il bene o il denaro per cui ci sarebbe stata l’appropriazione? Arcuri comunica di non avere notizia di quanto riportato dal quotidiano “La Verità”, relativamente all’indagine sulla fornitura di mascherine. Arcuri, nonché la struttura già preposta alla gestione dell’emergenza, rendono noto che “continueranno, come da inizio indagine, a collaborare con le autorità inquirenti nonché a fornire loro ogni informazione utile allo svolgimento delle indagini“.
Per gli inquirenti romani l’affaire delle mascherine – nei mesi in cui le mascherine erano diventate un bene prezioso e introvabile – ha visto agire un “comitato d’affari”, un “sodalizio” composto da “freelance improvvisati desiderosi di speculare sull’epidemia” e “capace di interloquire e di condizionare le scelte della Pubblica amministrazione”. Chi ne ha fatto parte ha ottenuto provvigioni “indebite” per oltre 77 milioni di euro, grazie a quello che la Procura di Roma definisce “un certo ascendente” nei confronti della struttura commissariale.
L’affare delle 801 milioni di mascherine che a marzo 2020 lo Stato italiano ha acquistato dalla Cina al prezzo di 1,2 miliardi di euro, ha prodotto “un’annata straordinaria” – come loro stessi hanno definito l’anno 2020 – per questo “comparto privato”. I reati iscritti sono anche traffico di influenze illecite, ricettazione, riciclaggio e auto-riciclaggio. Commissioni pagate dai fornitori cinesi ma, sospettano gli inquirenti, di fatto “retribuite dal Governo italiano” grazie al “ricarico” effettuato sul prezzo. Fra gli indagati ci sono l’ex giornalista Rai, Mario Benotti, la sua compagna Daniela Guarnieri, l’imprenditore Andrea Tommasi, il banchiere sammarinese Daniele Guidi e il trader ecuadoriano Jorge Solis. Oltre a Antonella Appulo, ex segretaria al Mit.
Al centro dell’inchiesta c’è Mario Benotti. Giornalista Rai in aspettativa, professore universitario, saggista. Soprattutto, uomo dagli importanti agganci politici: già consulente dell’ex sottosegretario Sandro Gozi e del ministero delle Infrastrutture guidato da Graziano Delrio (dove fra l’altro conosce Appulo). Era finito, uscendone poi totalmente pulito, anche nelle carte dello scandalo Vatileaks. Dalle oltre 7mila pagine di informative agli atti della Procura, emerge un profilo molto complesso. Da un lato, le sue società Consorzio Optel, Partecipazioni Spa (in cui è presente l’ex ad di Enav, Guido Pugliese) e Microproduct It sono presenti e ramificate negli ambienti più disparati, specialmente nel settore della Difesa. Dall’altra, affiora la figura di una persona che, prima di questo affare, si trova in difficoltà economica, “risultato destinatario di atti di pignoramento ricevuti in qualità di terzi creditori” e firmatario di diversi assegni “risultati privi di copertura e quindi impagati”. Atti che “tracciano un profilo di inaffidabilità sul cliente proprio in relazione al rapporto fiduciario con lui intercorso”, annota la Guardia di Finanza in un’informativa agli atti.
Grazie alla “moral suasion” operata da Benotti nei confronti di Arcuri, secondo gli inquirenti fra il 26 marzo e il 15 aprile il commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 ha stipulato tre contratti con altrettante società cinesi per la fornitura di mascherine: la Wenzhou Moon-Ray, la Wenzhou Light Industrial e la Loukai Trade, tutte formalmente con sede in Cina. Ma almeno due su tre nascondono dei “misteri” evidentemente sfuggiti alla Struttura commissariale nei giorni più drammatici dell’epidemia Covid. Innanzitutto la Wenzhou Light Industrial, già censita negli archivi Uif di Banca d’Italia per avere ricevuto, tra il 2011 e il 2014, “numerose rimesse in contante dall’Italia, per complessivi 5 milioni di euro”, per una società “beneficiaria di bonifici disposti da società italiane segnalate in contesti riconducibili alle frodi fiscali”. Poi c’è la Loukai Trade, la prima società a sottoscrivere, il 15 marzo 2020, il pre-contratto con Arcuri. La firma per la Loukai è di tale Xiao Lu Zhou, moglie convivente di Zhongcai Cai, detto “Marco”, residente in via Flavio Stilicone nel quartiere popolare del Quadraro a Roma. È “Marco” a tenere i conti delle spartizioni delle provvigioni fra il “gruppo Benotti” e a distribuirli man mano che arrivano i pagamenti dal Governo, come si apprende dalle e-mail agli atti del fascicolo.