L’11 aprile 1951, dopo una sepoltura cui assistette solo il tizio che reggeva la pala, si chiudeva la parabola terrena del pugile panamense Alfonso Teofilo Brown. Noto come “Panama Al Brown” fu Campione del Mondo dei pesi Gallo dal 1929 al 1935 e ancora nel 1938.

La sua morte passò sotto silenzio, quasi lo stesso che seguì la conquista del titolo di Campione del Mondo per la prima volta, nell’ottobre del 1928. La sua vittoria non fu dichiarata, non gli fu assegnata dalla National Boxing Association.

Panama Al Brown, un pugile che il poeta e drammaturgo francese Jean Cocteau descrisse come “una poesia scritta con inchiostro nero”, era un campione indesiderato. Perché era omosessuale.

Brown era senza dubbio il re dei pesi gallo di quell’epoca. Eppure i funzionari della boxe americana continuarono a negargli il suo status di campione, misero in dubbio il suo regno. Anche i fan che lo avevano acclamato cedettero al potere dei sussurri sulle sue inclinazioni sessuali e molti andavano ai suoi incontri per tifargli contro. Per deriderlo, insultarlo e sputargli addosso fin sul ring. Esasperato, Brown fece le valigie e salpò per l’Europa dove però anche i parigini una volta lo circondarono mentre lasciava il ring e lo picchiarono, lasciandolo insanguinato e privo di sensi tra i sedili in prima fila. Il motivo dell’odio su entrambe le sponde dell’Atlantico era tutto perché Al Brown, campione di boxe, amava gli altri uomini.

La storia di questo ragazzo panamense inizia nel 1902 quando nacque a Colón, a Panama. Il padre era uno schiavo liberato che lavorò nella costruzione delle ferrovie. Aveva tredici anni quando suo padre morì. Sua madre faceva le pulizie. Brown dava una mano portando a casa premi come una lattina di latte in polvere, vinti nei suoi incontri di boxe amatoriale.

Frequentò una delle scuole per soli neri nella parte polverosa della città. Leggeva libri di testo in lingua inglese e amava la musica che praticava suonando strumenti arrugginiti­. Dopo la scuola lavava la sua camicia bianca nel lavandino. Per molti anni è stata l’unica camicia “buona” che avesse.

Il 21 maggio 1923 s’imbarcò sull’Alvarado per attraversare il Canale e raggiungere New York. A bordo i suoi occhi scrutavano l’orizzonte e in quel momento Brown dando un’ultima occhiata a Colón, sottovoce, disse: “Addio mamma”.

Nelle palestre di Harlem si formò come pugile e grazie alla boxe trasformò la sua vita, da lui stesso definita “miserabile” in meravigliosa. Poi il suo manager si ammalò, il figlio del suo allenatore morì e le voci sulla sua vita privata fecero sterzare nuovamente la parabola di Brown che non potendo più pagare l’affitto, ritrovatosi senza un tetto, andò in Europa.

A Parigi scoprì altre doti. Fu l’ultimo di una serie di artisti diventati noti come “Harlem a Montmartre”. Josephine Baker e Django Reinhardt si esibivano sul palco, Brown era il re del ring. Attratto dalla moda vestiva con abiti da sera o pellicce ed esibiva gioielli. Girava su auto di lusso. Tra il pubblico c’erano Picasso e Hemingway, suoi tifosi. Aveva imparato il francese da bambino grazie a sua madre che era di origini franco-caraibiche, per questo Parigi diventò il suo palco oltre che ring. Arrivò a esibirsi ballando con “La Revue Negré” di Josephine Baker. Si divertiva molto ma i sussurri sul suo stile di vita si diffusero presto anche lì. Gli applausi si trasformarono in scherno e a ogni ingresso sul ring veniva accolto da insulti, sputi.

L’ennesima caduta, malconcio e in preda alla dipendenza da droghe precipitò nuovamente. La vita però gli riservò un’altra rinascita.

Parigi, 4 marzo 1938. Tutta la città è presente al Palais des Sports: nelle prime file Jean Gabin, Maurice Chevalier, Marcel Cerda ma in prima fila, ansioso, c’è anche Jean Cocteau. Tutti gli occhi sono puntati sul poeta. Riuscirà nella sua scommessa? Permettere ad Al Brown di recuperare il titolo di Campione del Mondo contro lo spagnolo Baltasar Sangchili? Cocteau ha deciso di rimettere in sella Brown quando l’ha trovato disperato e sprofondato nell’abisso della droga. La stampa ride di questa discussa accoppiata: “Cosa ci fa un poeta nel mondo della boxe?”. Le battute di cattivo gusto si sprecano. Ma la vendetta avrà un sapore più dolce. Dopo una lotta feroce, Al Brown, a 35 anni, vince ai punti e torna Campione del Mondo. Il suo sguardo fiero incrocia, complice e grato, quello di Cocteau. Sarà l’ultimo guizzo.

Gli ultimi anni della sua vita, in America, trascorsi tra corsie di ospedale o per strada lo condussero verso una fine prematura. Una fredda notte del 1951, un poliziotto scosse un uomo esanime a terra rannicchiato su un materasso. Era Brown e fu gettato in cella privo di sensi. Poi di corsa in ospedale. Aveva la tubercolosi. Dall’altra parte dell’oceano Cocteau scoprì che Brown era sul letto di morte, allora registrò su un nastro i ricordi più belli del tempo trascorso insieme e glieli inviò tramite un giornalista dell’Equipe.

Il dono dell’amico poeta, è bello credere, arrivò appena in tempo per dare conforto ad Alfonso Teofilo Brown, morto da solo, a 48 anni, in una stanza vuota con un registratore all’orecchio.

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