Il 15 aprile scade il termine per le domande di mobilità, ma c'è vincolo di permanenza di 5 cinque anni nello stesso istituto. Lena Gissi: "Laddove non si realizzi un clima di relazioni positive, diventa assai difficile poter considerare la loro prosecuzione come utile e opportuna. Per queste ragioni sarebbe quanto mai auspicabile che la continuità, intesa come continuità di relazioni positive, fosse in ogni modo favorita, assecondata e incentivata, ma mai imposta forzatamente"
Entro cinque giorni circa novantamila maestri e professori delle scuole di ogni ordine e grado dovranno compilare la domanda di mobilità. A mettere in difficoltà i docenti è rimasta la questione del vincolo quinquennale previsto dalla Legge 159 del 2019 che determina l’obbligo di permanenza per cinque anni nella scuola di titolarità. Il provvedimento “incatena” gli insegnanti della scuola secondaria di primo e secondo grado assunti dalle graduatorie di merito del concorso straordinario 2018. Non solo. A rientrare in questo blocco sono anche i docenti immessi in ruolo nell’anno scolastico 2020/21, qualunque sia la procedura utilizzata per il loro reclutamento e a prescindere dall’ordine o grado di istruzione di assunzione.
A sollevare la questione in queste ultime ore, prima della scadenza del termine di presentazione delle domande, è la Cisl Scuola che punta gli occhi sulla questione della continuità. Una riflessione della segretaria nazionale, Lena Gissi, che è anche un appello al Governo. Il tema, messo in discussione dal sindacato è semplice: la Legge 159 ha alla base l’obbligo di prestare servizio cinque anni in una scuola per assicurare una continuità didattica agli alunni. Un diritto, quest’ultimo, non sempre garantito in una scuola, quella italiana, dove i docenti per poter lavorare hanno dovuto spesso abbandonare le loro famiglie per poi sperare di tornare a casa dopo qualche anno di lavoro. In migliaia dal Sud sono emigrati al Nord dove sono stati costretti a restare fino a quando si è aperta la “finestra” per fuggire a casa.
“Non sempre – spiega Gissi – per quanto possa apparire ovvio e persino banale, la continuità didattica, è un valore”. Tradotto in esperienze di vita reale: difficile pensare, ad esempio, che la forzata lontananza dal proprio nucleo familiare, o un pendolarismo eccessivamente gravoso per andare e tornare dal lavoro, possano produrre effetti benefici sulla qualità e l’efficacia dell’attività di un docente, con ciò che ne discende di riflesso per gli alunni. “Più in generale –continua la sindacalista – laddove non si realizzi un clima di relazioni positive, diventa assai difficile poter considerare la loro prosecuzione come utile e opportuna. Per queste ragioni sarebbe quanto mai auspicabile che la continuità, intesa come continuità di relazioni positive, fosse in ogni modo favorita, assecondata e incentivata, ma mai imposta forzatamente”.
D’altro canto i docenti, una volta raggiunta una sede che non li allontani dalla famiglia o che sia considerata ottimale, non si spostano e garantiscono la continuità senza che sia forzata. “L’oggi ci vede alle prese – conclude la segretaria della Cisl Scuola – con una situazione nella quale vincoli più o meno estesi discendono dalle diverse decorrenze dei provvedimenti di assunzione, in ogni caso ispirandosi a una logica di imposizione forzata priva come si è detto di reali benefici, fonte unicamente di disagi che alimentano rischi di assenteismo e di contenzioso. In attesa di una complessiva rivisitazione del tema reclutamento, quanto mai necessaria, almeno rimuove norme assurdamente coercitive in materia di mobilità sarebbe una cosa buona, da fare con la massima urgenza”.