Lo strazio di una madre per la morte del figlio, che aveva problemi psichici, avvenuta davanti ai suoi occhi. L’angoscia del carabiniere che ha sparato mentre l’uomo, armato di un’accetta, si era avventato contro l’auto dove si trovava uno dei componenti della pattuglia. La tragedia avvenuta vicino a Rovereto ha due volti opposti. Adesso il sostituto procuratore Viviana Del Tedesco indaga per omicidio preterintenzionale nei confronti del carabiniere che ha sparato e ucciso Matteo Tenni, di 43 anni, a Pilcante di Ala. Si tratterebbe di un atto dovuto, per consentire l’effettuazione dell’autopsia e delle perizie balistiche. La Procura starebbe valutando però l’ipotesi di legittima difesa. Infatti, l’uomo si era scagliato contro l’auto con l’arma bianca. Ma qui sembrano divergere le versioni, perché la madre di Matteo sostiene che i due militi fossero già all’esterno dell’auto e che lui stesse solo colpendo la volante.

L’uomo, che in passato era stato seguito dai Servizi di Salute mentale, era fuggito quando gli era stato intimato l’alt perché era senza patente. Gli era stata ritirata qualche tempo fa. Dopo un inseguimento si era fermato davanti al garage di casa, ma era uscito avventandosi sui carabinieri. Uno di loro, 54 anni, è stato ferito ad una mano, ha estratto la pistola e ha sparato.

La madre, Annamaria Cavagna, 80 anni, faceva l’infermiera. Il marito è da tempo ricoverato in una casa di riposo. Era in casa, ha sentito il trambusto, si è affacciata. Ha visto tutto. “Davanti agli occhi ho la pistola che si alza, mio figlio che cade a terra come un sacco…”. Era costretta a convivere con i problemi psichici del figlio, ma non si era mai arresa. Lo ha spiegato in una intervista al Corriere del Trentino. Il giorno prima dell’uccisione del figlio era andata dal suo psichiatra perché Matteo “era più agitato del solito”. E spiega: “Gli ho detto che dovevano ricoverarlo, ma niente… sono uscita piangendo”.

Il rimpianto per non aver potuto impedire ciò che è accaduto, ma anche la disperazione per la scena a cui non ha potuto sottrarsi. Dopo il colpo è scesa in cortile. “Sono corsa fuori per raggiungerlo, vedevo il sangue uscire dalla gamba, il rivolo per terra. ‘Sono sua madre, sono un’infermiera, fatemi passare‘ ho detto. Ma mi hanno tenuta fuori, sulla strada. Imploravo che intervenissero per fermare l’emorragia, che mi lasciassero intervenire per rianimarlo. Stava morendo, vedevo che via via diventava sempre più bianco. ‘Sono sua madre, fatemi passare, fatemi toccare mio figlio ancora caldo. Lasciate che gli dica almeno ciao‘”.

Era uscito di casa poco prima. “Credevo andasse a piedi, perché gli avevano sospeso la patente. Ma ha preso la macchina. Era andato a prendersi il tabacco. Poi ho sentito un rumore e ho visto i carabinieri con la macchina dentro il cancello, qui sotto al balcone. L’ho visto uscire con l’accetta dal garage e ho gridato: ‘Matteo no, Matteo no’”. La madre dà una versione che dovrà essere verificata. “I carabinieri erano fuori dall’auto. Uno ha sparato diritto, in orizzontale, mentre Matteo stava ancora con l’accetta in aria per colpire l’auto, che era vuota, non i carabinieri che erano fuori”.

Sono stati attimi strazianti. Annamaria ha ricordato: “’Tieni duro’, gli urlavo mentre i carabinieri mi tenevano lontana. Neanche dopo mi hanno permesso di toccarlo. Lo guardavo dal balcone, mi dicevano di entrare, che non sono scene da vedere: ma sono sua madre”. La donna trova però la capacità di riflettere: “Avevano paura anche i carabinieri, lo so, l’ho visto anch’io mentre colpiva con l’accetta la loro macchina, ma potevano mirare a un piede. E poi lo conoscevano, sapevano che Matteo era buono”. Un omone buono, ma che a volte non sapeva controllarsi. “Aveva una patologia psichiatrica – ha spiegato la donna che era impegnata anche a seguire i corsi di mutuo aiuto per genitori con figli che hanno un disagio psichico – e in questi giorni non stava bene. Il giorno prima mi sono accorta che era più agitato del solito. Sono andata dal suo psichiatra per fargli presente che era scompensato. Gli ho detto che ero disperata, che dovevano ricoverarlo. Ma niente, sono uscita piangendo”.

C’è poi un precedente che risale a un mese fa. “Era tornato a casa con un occhio pesto, aveva fatto a botte ed era andato al pronto soccorso per farsi medicare. E così ho chiamato il maresciallo dei carabinieri per chiedergli un aiuto”. Gli aveva chiesto di chiamare i medici per ricoverarlo, visto che già si trovava in ospedale. “Il maresciallo era d’accordo, anche secondo lui non stava bene. Ha chiamato, ma non c’è stato alcun ricovero”. C’è un risvolto umano legato a quel giorno. “Era l’8 marzo, era andato a prendermi le mimose. Ma gli avevano rubato lo zaino con dentro i fiori e anche la spesa. Mi fece vedere lo scontrino, per dimostrarmi che davvero aveva comprato le mimose per sua madre”. Il rapporto tra di loro era molto affettuoso. “Tutte le mattine Matteo si alzava e mi dava il buongiorno con una carezza sulle spalle. Poi qualche volta era arrabbiato e mi diceva che non capivo niente. Ci volevamo bene”.

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