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Erdogan non è solo: anche al Sisi è della stessa pasta. Ora diamo la cittadinanza a Zaki

di Marta De Vivo e Paolo Di Falco

Draghi ha dato del dittatore a Erdogan: l’ha chiamato per quello che è davvero, non ha lasciato spazio a parole di circostanza o ad un linguaggio mediatore tipico della politica. La realtà sbattuta in faccia così, quella cruda che ti spezza in due, non è stata apprezzata dai turchi i quali hanno subito convocato l’ambasciatore italiano ad Ankara, Massimo Gaiani. Di Maio lo scorso autunno parlava dell’ottimo rapporto con possibilità di sviluppo tra i due paesi, l’Italia vantava di essere il secondo partner commerciale della Turchia in ambito europeo e il quinto su scala mondiale.

Purtroppo questi paesi con schemi “dittatoriali” continuano a rappresentare un problema sul fronte dei diritti umani e della buona condotta. Nonostante le evidenti distanze tra il nostro paese e le dittature, noi continuiamo a contrattare: l’Italia solo nel 2019 ha venduto all’Egitto armi per un valore di 870 milioni di euro. Quando si parla di Egitto non si può non citare Patrick Zaki, in carcere da 15 mesi e mezzo e ormai allo stremo, un giovane che si era innamorato dell’Italia e l’aveva scelta per vivere e studiare. Un ragazzo al quale è stato tolto tutto: famiglia, studio, passioni. Una vita quasi azzerata.

Zaki il 16 giugno compirà 30 anni, una persona con una morale e una voglia di fare incredibile alla quale è stata tolta la libertà senza motivo. Dovremmo ripartire da qui, dai ragazzi come Zaki, ricordarci ogni giorno da che parte stia il nostro paese e dovremmo iniziare a farlo adesso prima che sia troppo tardi. Soffermiamoci per un attimo su Patrick, un ragazzo che da più di un anno è stato costretto a rinunciare ai suoi amici, al suo master a Bologna per guardare il cielo dietro due sbarre con l’accusa di “aver tentato di rovesciare il regime”. Un’accusa che, neanche a dirlo, non sta né in cielo né in terra ma che, nonostante questo, sembra essere abbastanza per lasciare un giovane trentenne dentro una cella di pochi metri.

Non un caso, non una singola eccezione ma una vera e propria strategia sistematica del dittatore al Sisi: da febbraio anche un ricercatore della Central European University (Austria) tornato a casa per far visita ai suoi genitori, Ahmed Samir è stato arrestato ed adesso si trova nelle carceri egiziane. La sua accusa? Ridicola: adesione a un’organizzazione terroristica, finanziamento di un’organizzazione terroristica e diffusione di false notizie sui social media. Come nel caso di Zaki, anche la sua è una carcerazione preventiva che si traduce in un vero e proprio calvario rinnovato ogni mese.

Non solo loro, non solo il nostro Giulio Regeni che ha pagato con la vita, ma sono tantissime le violazioni dei diritti umani messe in scena giornalmente in Egitto: si calcola che siano più di 41.000 le persone arrestate e, tra queste, sono migliaia i giovani attivisti, i difensori dei diritti umani e perfino bambini che indossavano magliette con slogan anti-tortura. Ci rendiamo conto di chi stiamo parlando? Ci rendiamo conto con chi dialoghiamo e facciamo affari? Se il dittatore al Sisi è disposto ad usare qualsiasi strumento pur di mantenere il potere, il suo omologo in Turchia non scherza: sono più di 70 i giornalisti che si trovano nelle carceri turche solamente perché hanno provato a raccontare il regime dittatoriale di Erdogan.

Insieme ai giornalisti, all’interno delle prigioni turche così come accade anche in Egitto, troviamo diversi avversari politici e, tra questi, Selahattin Demirtaş, il leader del Partito democratico del popolo (Hdp), un partito filocurdo che ha un grande seguito nel paese. Le accuse sono ancora più ridicole di quelle egiziane dato che anche la giustizia è in mano al regime dopo che lo stesso mise alla porta migliaia di giudici considerati ostili. Dopo il fallito colpo di stato, inoltre, furono più di 150 i giornali e i siti di informazione che vennero chiusi e, attualmente, anche l’informazione televisiva è in mano al regime. A peggiorare la situazione è la progressiva islamizzazione del Paese a cui è legato anche il recente ritiro dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne.

C’è ancora qualcuno in grado di sostenere che al Sisi o Erdogan non siano dei dittatori? A differenza della missione in Libia, questa volta il premier Draghi non ha fatto altro che utilizzare l’appellativo corretto per chi se ne infischia dei diritti umani. Adesso però si attendono i fatti e, primo tra tutti, quello che accadrà a Patrick Zaki. Il 13 aprile verrà infatti esaminata in Senato una mozione, presentata dal Pd e sottoscritta anche dalla Lega, per l’attribuzione della cittadinanza italiana con procedura d’urgenza al ricercatore trentenne ingiustamente detenuto.

Un’occasione per dimostrarci all’altezza del nome del nostro Paese, un’opportunità preziosa per salvare la vita di un ragazzo e per condannare, con decisione e fermezza, la violazione dei diritti umani in Egitto.