Il nuovo premier di Tripoli, Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, nemmeno una settimana dopo l'incontro con Mario Draghi è volato ad Ankara con 14 dei suoi ministri per incontrare il presidente turco. Dal Mediterraneo orientale all'influenza militare ed economica turca nel Paese, gli obiettivi di Erdoğan rischiano di scontrarsi con quelli del governo di Mario Draghi
Non ci sono solo le tensioni diplomatiche legate al sofagate ad alimentare lo scontro tra l’Italia e la Turchia, con Ankara sempre pronta a ricordare al governo di Roma e all’Europa il ruolo giocato nella gestione dei flussi migratori sulla rotta balcanica. La competizione tra i due Paesi è forte anche su un altro teatro chiave, soprattutto per il nostro Paese, nell’area mediterranea: la Libia. Un dossier fondamentale per il neonato governo Draghi, tanto che il presidente del Consiglio ha scelto proprio Tripoli per la sua prima trasferta internazionale da premier. E a meno di una settimana di distanza, il nuovo primo ministro del governo di unità nazionale, Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, vola ad Ankara con 14 ministri libici per discutere con l’amico Recep Tayyip Erdoğan del futuro ruolo della Turchia nel Paese nordafricano. Temi caldi: presenza militare sul terreno, partnership economica e la conferma del Memorandum d’intesa stipulato con Fayez al-Sarraj sullo sfruttamento delle risorse marittime nel Mediterraneo.
Secondo l’agenda, prima si terrà un colloquio privato tra i due leader, Erdoğan e Dbeibeh, al quale seguirà la prima riunione del Consiglio di cooperazione strategica tra i due Paesi che si concluderà con una cerimonia per la firma di accordi bilaterali, accompagnata da una conferenza stampa congiunta. “In primo piano – spiega a Ilfattoquotidiano.it Federica Saini Fasanotti, analista esperta di Libia di Ispi e della Brookings Institution – C’è sicuramente il tema dello sfruttamento delle risorse nel Mediterraneo, centrale per il presidente turco sia, ovviamente, per questioni economiche e geopolitiche, che interne. Ottenere ottimi risultati nell’area gli permetterebbe di distogliere l’attenzione dalla crisi economica interna alla quale non è ancora riuscito a porre rimedio”.
Si era ipotizzato che la tempistica dell’incontro potesse rappresentare anche una risposta diretta all’Italia, un modo per dimostrare al governo di Roma, che per bocca del presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha definito il Sultano “un dittatore con il quale si deve cooperare”, la forte influenza di Ankara in Libia, dopo l’intervento militare al fianco del Governo di Accordo Nazionale guidato, fino a inizio marzo, da al-Sarraj. Ma Saini esclude che le due cose possano essere collegate: “Credo che questo incontro sia slegato dal cosiddetto sofagate – dice – Dbeibeh ha legami molto saldi con Ankara, lo si sapeva prima della sua nomina e lo ha dichiarato pubblicamente lui stesso una volta entrato in carica. Questo dà forza alla Turchia che potrà esercitare la sua influenza nel Paese. Inoltre, va ricordato, insieme a Draghi Dbeibeh ha incontrato il premier greco Kyriakos Mītsotakīs che nel Mediterraneo rappresenta uno dei principali ostacoli alle ambizioni di Erdoğan. La tempistica con la quale quest’ultimo incontro è stato convocato la vedrei più collegata a questo summit in particolare”.
Con il governo libico appena insediato, un cessate il fuoco che, al momento, interessa tutti gli attori in campo e la prospettiva di arrivare a nuove elezioni a dicembre, gli Stati coinvolti stanno quindi cercando di strappare a Tripoli accordi e rassicurazioni sui futuri rapporti, così da trarne il maggior vantaggio possibile. Anche la Turchia, quindi, che lo fa focalizzandosi su dossier di primaria importanza: “Oltre allo sfruttamento delle risorse nel Mediterraneo orientale, che è il tema principale, ci sono indubbiamente quelli delle infrastrutture, del rafforzamento della cooperazione strategica ed economica, delle partnership nel settore dei servizi e del ritorno delle società turche nel Paese – continua Saini – La Libia è un Paese che va totalmente ricostruito e che avrà bisogno di differenziare anche la propria economia, che dipende quasi esclusivamente dal petrolio, in vista di un processo di transizione energetica. Essere lo Stato che più di altri contribuirà alla ricostruzione delle infrastrutture libiche, oltre che un evidente vantaggio economico, garantirà anche un’importante influenza politica. E questo alla Turchia, come ad altri Paesi, compresa l’Italia, interessa”.
Ankara, inoltre, è l’unico Paese che ha un’importante presenza militare sul campo, se si escludono i contractor russi della Wagner e quelli provenienti dall’Africa centrale. E anche questo sarà oggetto di discussione: “I miliziani turchi hanno di fatto impedito la caduta di al-Sarraj nel corso della tentata offensiva su Tripoli del generale Haftar – spiega l’analista – Inoltre, adesso ricoprono un ruolo di deterrente per futuri attacchi al governo di unità nazionale e quindi Dbeibeh non ha alcuna intenzione, nonostante i proclami, di vederli partire prima che se ne siano andate anche tutte le altre milizie presenti nell’area. I turchi rimarranno in Libia, hanno già diverse basi lì, anche se in maniera meno sfacciata. E questo garantirà loro un forte controllo sul territorio“.
Controllo che potrebbe riguardare anche l’area costiera del Paese, interessata dalle partenze dei migranti verso le coste italiane. E questo è un altro tema che preoccupa Roma. Un controllo turco dei flussi migratori nel Mediterraneo metterebbe Erdoğan in una posizione di forza ancora più netta rispetto a quella già esercitata nei confronti dell’Europa: non solo avrebbe il controllo sui 4 milioni di rifugiati siriani ospitati nel suo Paese, pronti a intraprendere il viaggio verso l’Europa attraverso la rotta balcanica, ma anche quello dei migranti africani che vogliono imbarcarsi sui gommoni sperando di approdare sulle coste siciliane: “Sono i turchi che stanno addestrando gli uomini che controllano le coste libiche sulle motovedette fornite dall’Italia – conclude Saini – Un controllo parziale lo esercitano già. Se questa influenza dovesse aumentare, il potere contrattuale in mano a Erdoğan nei confronti dell’Europa e dell’Italia crescerebbe ulteriormente”.