Marcello Flores ha pubblicato un nuovo libro (Il genocidio) su un tema di cui è, fra gli storici italiani, uno dei massimi esperti. Come docente di Storia a Siena, ha organizzato convegni internazionali sul tema; è stato fra i curatori della Storia della Shoah promossa dalla UTET ed ha scritto la prima storia del genocidio armeno in lingua italiana.

Due sono le componenti del libro: la messa a fuoco del significato specifico del termine “genocidio” (dal greco ghénos, “razza”, “stirpe” e dal latino caedo, “uccidere”); la narrazione di alcuni degli innumerevoli genocidi che hanno insanguinato la storia dell’umanità, e in particolare quella del ventesimo secolo.

Flores inizia raccontando la battaglia del giovane giurista polacco Raphael Lemkin (aveva perso, nella Shoah, 49 membri della sua famiglia) che contribuì alla mobilitazione degli Stati membri dell’Onu e portò ad approvare, il 9 dicembre 1948, la Convenzione per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio; solo 24 ore dopo, non a caso, l’assemblea generale dell’Onu approvò la Dichiarazione universale dei diritti umani (la Siria aveva suggerito di inserire nella fattispecie del genocidio la “pulizia etnica”, riferendosi esplicitamente ai 700mila rifugiati palestinesi che avevano dovuto abbandonare le loro case all’interno del nuovo Stato di Israele: ma la proposta fu bocciata per 29 voti a 5, e 8 astensioni).

Ma Flores sottolinea che solo raramente si è giunti alla “punizione” del genocidio, per una serie di ragioni, fra cui la mancanza di riferimenti al genocidio culturale, la non retroattività e la difficoltà a stabilire l’intento di commettere genocidio. Un passo avanti è stato compiuto nel 2004 quando, per iniziativa del segretario generale dell’Onu Kofi Annan e a seguito dei genocidi in Ruanda e a Srebrenica, è stata istituita la figura del “Consigliere speciale per la Prevenzione del genocidio”. Il suo ufficio, fra l’altro, segnala all’Onu i rischi di genocidio, fra cui i “discorsi di odio” (hate speeches).

Purtroppo però anche dopo la Convenzione Onu i genocidi sono continuati, per la scarsa volontà della comunità internazionale di intervenire per impedirli o porre fine ad essi. Ma anche per l’atteggiamento di alcune grandi potenze: Flores ricorda, in proposito, le perplessità – o il “pragmatismo”, in questo caso in senso deteriore – degli inglesi (per il Foreign Office la creazione del nuovo reato è “una completa perdita di tempo, visto che se il genocidio avviene ovunque, avverrà in condizioni in cui non verrà rispettata alcuna convenzione internazionale”) e l’opposizione dell’Unione Sovietica, che avrebbe voluto circoscrivere questo crimine all’epoca e ai misfatti del fascismo e del nazismo. Mentre gli Stati Uniti si oppongono con veemenza al richiamo al “genocidio culturale”.

Un punto importante del libro di Flores riguarda la messa a fuoco del significato del termine “genocidio”, che si distingue dai tanti eccidi che si verificano nel mondo perché genocidio è solo “la negazione del diritto alla esistenza di interi gruppi umani”, come ha precisato l’Onu in una sua risoluzione (ma il termine “genocidio” affiorò spesso già nel processo di Norimberga, che punì i gerarchi nazisti per crimini di guerra e crimini contro l’umanità).

Di grande interesse il riferimento al “Tribunale Russel”, fondato nel 1966 e che vide fra i suoi membri molti dei maggiori intellettuali del tempo, fra cui Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Peter Weiss e Lelio Basso (di questi temi continua ad occuparsi la Fondazione romana che porta il suo nome). Uno dei “processi” del Tribunale Russel fu dedicato alla guerra nel Vietnam: alla domanda “gli Stati Uniti sono colpevoli di genocidio?”, la risposta unanime fu “sì”.

Prima di venire ai giorni nostri, Flores ricorda alcuni dei tanti genocidi del passato, fra cui le distruzioni (e gli eccidi) operate dai romani a Cartagine e dai greci a Melo, il massacro di intere popolazioni da parte dei conquistadores in America Latina, quello delle popolazioni indiane del Nord America e – più di recente – il genocidio degli armeni (ho sempre trovato a dir poco ingiusto lo scarso risalto che è stato dato al genocidio degli armeni. Ma consiglio vivamente la lettura di due romanzi, ma ricchissimi di notizie: I 40 giorni del Mussa Dagh di Franz Werfel, e La masseria delle allodole, di Antonia Arslan).

Avvicinandosi ai nostri giorni, l’elenco è lungo e atroce. Alcuni esempi.

– In Cambogia, con l’avvento al potere di Pol Pot e dei “Khmer”, circa un milione e ottocentomila cambogiani furono uccisi in quattro anni di terrore assoluto;

– In Australia, solo a partire dagli anni Novanta si inizia a far luce sui circa 100mila piccoli aborigeni strappati alle loro famiglie dal 1885 al 1967;

– Nel Congo, affidato come colonia personale del re belga nel congresso di Berlino del 1884-85, fra il 1895 e il 1905 muoiono oltre tre milioni di congolesi, mentre le ricchezze del re si accrescono a dismisura;

– Nel Guatemala le forze militari e paramilitari che nel 1954, con il sostegno degli Usa, avevano attuato uno dei consueti golpe del Sud America in quegli anni, fecero sterminare oltre 200mila persone, per lo più indigeni.

Dulcis in fundo – in un elenco che potrebbe essere assai più lungo – la tragedia dell’Unione Sovietica, dove lo stalinismo portò – fra carestie e stragi di “oppositori” – a 3 o 4 milioni di morti, con vicende da film dell’orrore, come una testimonianza, riportata testualmente da Flores, di cannibalismo verificatasi nel 1933: due genitori che avevano decapitato i figli e avevano fatto dei loro corpi carne da macello.

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