I sanitari che ci vaccinano hanno veramente bisogno di uno scudo penale? E lo scudo penale che hanno ottenuto pochi giorni fa con il decreto Draghi serve veramente a tutelarli?
Andiamo con ordine. E diciamo subito che, di regola, ogni scudo penale a tutela di alcune categorie o, peggio, di alcune persone, rischia di essere dichiarato incostituzionale, visto che la legge deve essere uguale per tutti. E diciamo anche che, sempre di regola, non c’è bisogno di alcuno scudo penale se si agisce correttamente rispettando tutte le regole perché, per essere condannati, è necessario provare che l’evento vietato è stato provocato per dolo o, quanto meno, per colpa. Sin dal 1988, la Corte costituzionale (sentenza n. 368) ha, infatti, precisato che nessuno può essere chiamato in giudizio “per comportamenti che solo fortuitamente producano conseguenze penalmente vietate” senza la “benché sua minima colpa”.
Tuttavia, considerato che nel settore sanitario, a volte possono esservi incertezze circa il reale ambito della colpa, sin dal 2017 la cosiddetta legge Gelli-Bianchi ha inserito la ulteriore precisazione che, in caso di danni alla salute dei pazienti, i sanitari non possono essere puniti se hanno rispettato le linee guida ufficiali e le buone pratiche clinico assistenziali. Lo stesso concetto, quindi, che sta alla base dello scudo penale appena varato, dove si dice che la punibilità del sanitario è esclusa quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni del provvedimento di autorizzazione del vaccino ed alle circolari in proposito del Ministero della salute.
Insomma, l’attuale scudo penale per il vaccino ripete quello che era già sancito dalla legge e cioè che il sanitario che si attiene alle regole di settore non rischia niente. In realtà, quindi, ha soprattutto un effetto psicologico perché tende a tranquillizzare i sanitari impegnati, in questo momento drammatico, nella somministrazione di vaccini anti Covid che, a volte (specie per Astrazeneca), possono essere accompagnati da effetti collaterali gravi o addirittura letali. E, quando questo accade, si ritrovano tutti iscritti come indagati di lesioni colpose o di omicidio colposo.
E’ questo, allora, il vero problema, che attiene non al pericolo (inesistente se si sono rispettate le regole) di una condanna ma al momento (precedente) delle indagini, tese ad accertare le cause della malattia o del decesso che, nella prima fase, devono necessariamente essere a tutto campo e iniziano, ovviamente, dall’evento dannoso (lesioni o morte) del vaccinato. Ed è proprio per questo che si ritrovano indagati: non perché, in quel momento, vi siano reali indizi di colpevolezza a loro carico ma per dare loro la possibilità di controllare e di partecipare, con loro legali e consulenti, agli atti irripetibili (autopsia, ad esempio) delle indagini, che riguardano anche il loro operato.
Insomma, un atto dovuto a loro tutela e garanzia di difesa che, tuttavia, nei fatti, anche se poi verranno immediatamente prosciolti, li vede sbattuti in prima pagina come indagati e li coinvolge umanamente e personalmente, anche sotto il profilo delle spese.
Se così stanno le cose, lo scudo del decreto Draghi serve a poco. Certo, una soluzione sarebbe quella di non iscriverli come indagati a meno che non vi siano già reali indizi concreti di colpevolezza a loro carico. Ma, se poi le indagini evidenziassero una loro responsabilità, si troverebbero di fronte alle risultanze di atti irripetibili effettuati senza dare loro garanzie difensive.
Che fare allora? Una possibile, condivisibile soluzione è stata prospettata in questi giorni da Nello Rossi, magistrato direttore di Questione Giustizia, il quale, in un articolo su quella rivista, ha proposto che, in occasione della conversione in legge del decreto Draghi, si inserisca un articolo per cui, in questi casi, il pm potrebbe non procedere all’iscrizione dei sanitari nel registro degli indagati e, nel contempo, “dovrebbe avvisare, senza ritardo, gli Ordini professionali dei sanitari interessati e nominare – attingendo a rotazione da elenchi di professionisti unitariamente predisposti dagli Ordini stessi – un consulente tecnico tenuto a partecipare agli accertamenti tecnici irripetibili oltre ad un difensore d’ufficio”.
In modo da salvaguardare le esigenze della difesa e tenere al riparo i sanitari da pregiudizio sociale e da spese personali; ferma restando, ovviamente, la possibilità di un loro intervento diretto, a titolo personale, nelle indagini.