Un appello congiunto delle principali sigle sindacali di medici e operatori sanitari per chiedere al governo, sempre più strattonato da chi – all’interno della maggioranza – vuole riaprire il Paese già entro aprile, di “non allentare prematuramente le restrizioni“. Il motivo, spiegano, è che gli ospedali sono ancora “sovraccarichi”, con “indici di occupazione delle terapie intensive e delle aree mediche Covid ben oltre le soglie critiche individuate“. Anche a livello epidemiologico, si legge nel comunicato diffuso da Anaao Assomed, Aaroi-Emac, Fp Cgil medici e dirigenti, Uil, Cisl medici e altri, nonostante nelle ultime settimane i contagi stiano rallentando, la circolazione del virus resta “marcata“, con circa “530mila contagi attivi“. Tutti fattori che, insieme alla “persistente elevata mortalità”, impongono “molta cautela nell’allentare le misure restrittive della movimentazione sociale”.

I sindacati esprimono “amarezza” per il “dibattito in corso sulle riaperture” e ricordano che il personale sanitario, impegnato da oltre un anno nella lotta contro la pandemia “7 giorni su 7, di giorno e di notte”, si trova ad affrontare “ancora per tutto il 2021 criticità di ogni tipo dovute al sovraffollamento degli ospedali, che con la terza ondata interessa in successione tutta la nostra penisola, anche aree precedentemente risparmiate, come dimostra il caso Sardegna“. La Regione, infatti, è passata da poche settimane dalla zona bianca alla zona rossa, con un’impennata dei casi che ora sta avendo un forte impatto sulle strutture sanitarie. “Ogni prematuro allentamento delle restrizioni potrebbe mettere a rischio tanto la vita dei pazienti affetti da Covid-19, costringendo per carenza di posti letto gli operatori a scelte strazianti sotto il profilo etico, come il triage inverso, quanto la salute dei pazienti con altre patologie, la cui prevenzione e cura rischia di essere ancora una volta sacrificata a causa della sottovalutazione del rischio di una persistente elevata circolazione del virus, sulla quale i medici e i dirigenti del servizio sanitario nazionale lanciano da tempo, inascoltati, tutti gli allarmi possibili“, insistono.

Il punto è che “per la terza volta gli operatori sanitari sono costretti, dopo il secondo picco epidemico autunnale, a ulteriori sacrifici, anche a rischio della salute personale, oltre che ad affrontare una situazione di costante super lavoro fisico e psichico che sta fiaccando le loro resistenze”. Perché l’appello al governo? “Le decisioni competono certo alla politica“, scrivono, “ma è compito, anche deontologico, di chi lavora in prima linea fornire una fotografia chiara dell’andamento clinico ed epidemiologico della pandemia. Un rallentamento delle restrizioni sarà possibile solo con contagi giornalieri al di sotto di 5mila casi, mantenendo una larga capacità di testing e riprendendo il contact tracing per il controllo della diffusione dell’epidemia, i ricoveri in area Covid medica e intensiva largamente al di sotto delle soglie critiche, rispettivamente 40% e 30%, e la vaccinazione completata almeno per i soggetti fragili e gli ultra 60enni, categorie a più alto rischio di ricovero e mortalità”.

Il comunicato congiunto si conclude quindi con un invito: “Chiediamo alla politica di ascoltare le decine e decine di migliaia di Colleghi che da 13 mesi lavorano senza tregua nell’emergenza territoriale e negli ospedali, e che non nascondono la loro perplessità e amarezza per il dibattito in corso su riaperture che, sotto le pur comprensibili esigenze economiche e sociali, celano una non corretta valutazione del rischio di un prolungamento della pandemia e di una persistente elevata mortalità tra i cittadini non ancora protetti con la vaccinazione. Senza una soluzione duratura della crisi sanitaria non vi potrà essere una ripresa economica né un ritorno in sicurezza alle normali relazioni sociali”.

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