Sette Regioni (Toscana, Campania, Veneto, Piemonte, Liguria, Umbria e Puglia) avvieranno sperimentazioni pilota di oncologia del territorio, nell’ambito del progetto Smart care. Il direttore di Ispro: "Circa il 30 per cento di chi ha una diagnosi di tumore, cioè oltre un milione di persone, potrebbe essere seguito a domicilio e nelle strutture territoriali, ma le soluzioni extra ospedaliere sono ancora carenti”
Portare le cure a casa dei malati oncologici. È la sfida a cui, nelle circostanze della pandemia i medici hanno dovuto rispondere per proteggere i pazienti dal rischio di contagio in corsia e che il Servizio sanitario nazionale farebbe bene a raccogliere per uscire dalla logica ospedalocentrica che lo caratterizza e che, come abbiamo visto durante l’emergenza sanitaria, ha dei limiti di assistenza importanti.
Sviluppare un’oncologia del territorio, fuori dagli ospedali (riservati alle fasi più acute e complesse della malattia), deve diventare l’obiettivo per una sanità pubblica più efficace, più umana e sostenibile economicamente. È la realtà prima di tutto a insegnarcelo. In Italia i cittadini con una diagnosi di tumore superano i 3,6 milioni e “circa il 30 per cento, cioè oltre un milione di persone, potrebbe essere seguito a domicilio e nelle strutture territoriali, ma le soluzioni extra ospedaliere sono ancora carenti”, considera Gianni Amunni, direttore generale dell’Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica (Ispro) della Regione Toscana e presidente dell’associazione Periplo, incubatore per le reti oncologiche regionali (ovvero i percorsi di diagnosi e cura secondo un modello organizzativo che concentra la casistica più complessa in un numero limitato di centri che interagiscono con strutture periferiche a cui sono affidati i casi meno gravi).
Secondo le stime dell’associazione, almeno il 20 per cento dei casi di cancro del polmone, il 30 di quelli del colon-retto e più della metà di quelli della mammella possono essere gestiti direttamente a domicilio, negli ambulatori distrettuali o con brevi ricoveri nelle strutture di cure intermedie (che offrono assistenza infermieristica o riabilitativa, di bassa e media intensità quindi, prevenendo il ricovero in ospedale).
“Implementare le cure di prossimità significa evitare gli accessi impropri al pronto soccorso e lo spreco diagnostico che ne deriva”, sottolinea Amunni. La pandemia ha accelerato questo ragionamento. E sette Regioni (Toscana, Campania, Veneto, Piemonte, Liguria, Umbria e Puglia) avvieranno sperimentazioni pilota di oncologia del territorio, nell’ambito del progetto Smart care (Soluzioni e metodi avanzati di riorganizzazione territoriale in sanità) messo a punto da Periplo e dalla Società italiana di leadership e management in medicina. “L’emergenza Covid ha aperto la strada a un nuovo approccio di presa in carico dei malati oncologici, a distanza con il supporto della telemedicina o a livello domiciliare e ambulatoriale, senza però un vero e proprio modello organizzativo di riferimento. Adesso serve definire questo percorso e il progetto Smart ha questo fine”, dichiara il presidente dell’associazione. La rete oncologica si dovrà perciò estendere fino al letto di casa.
Come dovrebbe funzionare in pratica l’oncologia territoriale? “Il paziente con cancro ha bisogno dell’ospedale solo per brevi periodi, per un eventuale intervento chirurgico, la radioterapia e la chemioterapia in via endovenosa. Tutto il resto va erogato a casa o sul territorio, dal follow up alle terapie orali, la riabilitazione motoria, la diagnostica radiologica, il supporto nutrizionale e psicologico. I letti di cure intermedie possono essere usati per gestire le tossicità da terapia, come anemia e vomito importante”, spiega Amunni. Che aggiunge la necessità di sfruttare i dispositivi per la televisita e il teleconsulto e di creare un’unica cartella clinica informatizza alla quale abbiano accesso tutti i professionisti coinvolti nel percorso clinico-assistenziale dall’ospedale al domicilio.
Determinante sarà il ruolo di infermieri e medici di famiglia che devono operare in sinergia con gli oncologi ospedalieri. In Toscana la sperimentazione, diretta dall’Ispro e approvata con una delibera dell’8 marzo scorso, coinvolge tre Aggregazioni funzionali territoriali (Aft) di medici di medicina generale, cioè una per ciascuna delle aree vaste in cui è divisa la sanità toscana, per un bacino di circa 90mila persone, e in ogni Aft è nominato un oncologo territoriale che ha una funzione di raccordo tra il medico di famiglia e la struttura ospedaliera. Al termine della sperimentazione verranno definiti i requisiti organizzativi del modello da estendere in tutta la regione.
“In Campania nel 2020 sono stati seguiti a domicilio mille pazienti con cancro su 11mila ricoverati in ospedale”, racconta Sandro Pignata, direttore del reparto di oncologia medica uro-ginecologica dell’Istituto nazionale dei tumori Pascale di Napoli e coordinatore scientifico della Rete oncologica campana (Roc). “Abbiamo realizzato una piattaforma per gestire il flusso dei pazienti in entrata e in uscita dagli ospedali – continua -. Gli specialisti attraverso questo sistema informatizzato possono mandare la richiesta di presa in carico ai distretti dell’Asl per una serie di prestazioni, dalle cure palliative e terapia del dolore, alle trasfusioni, gestione del catetere, ricovero in hospice, medicazioni varie. Allo stesso tempo, anche i medici di medicina generale possono segnalare i loro assisti ai gom, cioè i gruppi oncologici multidisciplinari della rete. Per adesso solo 350 medici di base su quattromila hanno accesso alla piattaforma, ma dobbiamo arruolarne il più possibile per facilitare il percorso di diagnosi e cura dei pazienti ed evitare la migrazione sanitaria extraregionale”.