Slitta la data negoziata da Donald Trump per il ritiro delle truppe americane in Afghanistan, che rientreranno negli Stati Uniti non il 1° maggio come annunciato ma entro il prossimo 11 settembre, 20 anni dopo l’attacco di Al Qaida alle Torri Gemelle che trascinò Washington nella guerra più lunga della loro storia. Una proroga che era già stata ventilata a marzo, quando il segretario di Stato americano Antony Blinken aveva insistito sulla mancanza di condizioni per procedere col rientro delle truppe a maggio, per timore che i miliziani del movimento fondato dal Mullah Omar potessero sferrare una nuova serie di attacchi e ottenere rapidamente una serie di vittorie militari sul terreno. I talebani hanno minacciato nuovi attacchi contro le truppe Usa e Nato se non sarà rispettato il termine concordato ma resta da vedere ora se attueranno rappresaglie di fronte ad un ritiro spalmato solo su qualche mese in più.

La decisione ha cambiato i programmi del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che anziché rientrare a Roma dopo i due giorni di visita a Washington volerà direttamente a Bruxelles per partecipare ad una riunione ristretta e straordinaria dei Paesi framework sull’Afghanistan. Altrettanto ha già fatto Blinken, con cui il capo della diplomazia italiana si era incontrato lunedì discutendo in modo particolare anche questo dossier. “Aspettatevi un annuncio Usa a breve”, aveva anticipato Di Maio, sottolineando la volontà comune di una decisione condivisa tra alleati (“siamo entrati insieme, usciremo insieme”).

A Bruxelles Blinken e il capo del Pentagono Lloyd Austin informeranno gli altri partner della Nato, a partire dalla Germania, che ha il secondo maggior contingente in Afghanistan. Nel Paese al momento ci sono circa tremila soldati americani e settemila della coalizione, in gran parte truppe di Paesi Nato come l’Italia (che schiera fino a 800 militari). La mossa di Biden porrà fine ad una guerra costata finora migliaia di miliardi di dollari, oltre 2300 militari Usa morti e 20 mila feriti, ed almeno 100 mila civili afghani uccisi.

Il presidente Usa aveva già ammesso che sarebbe stato “difficile” rispettare la scadenza del primo maggio e ha voluto posticiparla di alcuni mesi per far decollare gli sforzi di dialogo tra i talebani e il governo di Kabul, finora falliti. La sua scelta era ardua. Con un’opinione pubblica e una significativa fetta bipartisan del Congresso che premono per il ritiro, rimanere ancora a lungo significava potenziali problemi politici a casa e nuovi pericoli di attentati alla forze Usa da parte dei talebani. Ma anche un’uscita affrettata avrebbe potuto minare i pur modesti risultati ottenuti in questi 20 anni. Biden ha optato quindi per un compromesso, non esente da rischi, ma coerente anche con la necessità di puntare l’attenzione su altre priorità e minacce, come la Cina, l’Iran, la Russia.

Proprio oggi il presidente ha chiamato Vladimir Putin e lo ha messo in guardia che gli Usa “agiranno fermamente in difesa dei loro interessi nazionali in risposta alle azioni russe, come le intrusioni cybernetiche e le interferenze nelle elezioni”, ammonendolo a ridurre le tensioni con l’Ucraina dopo il rafforzamento delle truppe in Crimea e al confine. Ma gli ha anche proposto un incontro nei prossimi mesi in un Paese terzo per discutere l’intera gamma dei problemi comuni.

L’Afghanistan ora non si eleva più al livello delle altre minacce”, ha spiegato una fonte dell’amministrazione al Washington Post. “Eravamo andati in Afghanistan nel 2001 per un obiettivo particolare: fare giustizia contro gli autori dell’attacco dell’11 settembre e annientare i terroristi che cercavano di usare quel Paese come rifugio sicuro. Lo abbiamo raggiunto qualche anno fa”, ha ammesso un’altra fonte del governo. Ora gli Usa hanno come ultime leve con i talebani premere per la liberazione di circa settemila prigionieri nelle prigioni di Kabul e la revoca delle sanzioni Onu. E sperare nella conferenza di pace sull’Afghanistan tra il governo afghano e i Talebani, che si terrà a Istanbul dal 24 aprile al 4 maggio. Finora sono stati invitati 21 Paesi (tra cui l’Italia), oltre a Ue, Nato e Organizzazione della cooperazione islamica (Oci).

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